La trovatella di Milano | Page 5

Carolina Invernizio
sulle tempia, le cui vene
prominenti si gonfiavano alla minima emozione. Il viso di una
bianchezza cerea spiccava ancora più sotto la lunghissima barba di un
nero d'ebano; i suoi occhi bigi avevano uno sguardo duro, imperioso; il
sorriso ironico delle sfingi increspava le sue labbra sottili.
Quell'uomo era il conte Ercole Patta, da pochi anni dimorante a Milano,
sebbene dicesse di esservi nato e parlasse difatti il più puro dialetto

lombardo.
Un profondo mistero avvolgeva la sua vita passata: era noto solo, che
veniva da Vienna, dove eragli morta la moglie, lasciandogli una figlia,
Adriana, che all'epoca del nostro racconto, compiva sedici anni ed era
l'unica erede di colossali ricchezze; un tipo perfetto dell'avvenenza
tedesca ed alle cui fisiche doti stavano al pari quelle morali.
La casa del conte Patta era il soggiorno della più schietta ospitalità; in
essa vi convenivano i più ragguardevoli uomini politici, il fiore della
cittadinanza. Il conte riceveva tutti con affabilità e confidenza, ma
quanto più si mostrava in società espansivo, buon parlatore, allegro
compagnone, altrettanto in privato era burbero, taciturno, glaciale.
Con sua figlia andava poco d'accordo, giacchè egli voleva darle in
isposo un certo marchese Diego Tiani, un orfano che alloggiava nello
stesso palazzo, perchè il conte diceva essergli stato raccomandato dal
padre morente, e faceva la vita del gran signore. Ma sebbene Diego
possedesse un sembiante incantevole, uno spirito inesauribile e
contasse grandi ed innumerevoli trionfi colle dame, Adriana gli
preferiva Gabriele Terzi, il figlio di un onesto commerciante, un
giovane di alti intendimenti, con un cuore d'oro, una fisonomia
dolcissima, aperta, leale.
Si erano incontrati ad una stazione balnearia, si amarono al primo
sguardo scambiato fra loro e non era trascorso un mese, che se lo
confessarono a voce bassa; giurandosi fedeltà eterna.
Gabriele giunto a Milano fece chiedere dal padre la mano dell'adorata
giovinetta: il conte Patta rifiutò decisamente. Ma gl'innamorati non
perdono giammai la speranza.
Gabriele si sentiva amato ed era quasi convinto che un giorno o l'altro,
il conte si sarebbe piegato alle sue preghiere ed a quelle della figlia. Ed
intanto andava ovunque trovavasi Adriana per ammirarne i vezzi,
averne i sorrisi, raccogliere i fiori, che ella non mancava mai di lasciare
cadere sul suo cammino. Diego sapeva tutto ciò ed esecrava il suo
rivale e vedendo di non riuscire in alcun modo togliere l'immagine di

lui dal cuore di Adriana, determinò di provocare il giovane. Ma questi
rispose all'attacco con tal dignità, che il giovane marchese ne uscì
sconfitto, umiliato. Allora la sua rabbia non ebbe più freno e l'ultima
notte di carnevale, avendo sorpreso Gabriele sotto le finestre di Adriana,
l'assalì a tradimento. Ma il giovane si difese con tale impeto, che
disarmò l'assalitore, il quale dovette cercare uno scampo nella fuga,
soddisfatto ancora di non essere stato riconosciuto.
Il giorno seguente, Diego si ebbe un lungo e segreto colloquio col conte.
Allorchè il giovane lasciò il gabinetto, il gentiluomo apparve
fortemente turbato e durò fatica a calmarsi.
Finalmente suonato con violenza il campanello, ordinò al cameriere
accorso di far avvertire la contessina Adriana, che il padre desiderava
parlarle.
E si sdraiò sulla poltrona ad attenderla. La giovinetta non tardò a
comparire. Era adorabile nel suo semplice abito di flanella bianca,
stretto alla cintura da un nastro di raso celeste. Un nodo di egual colore,
le fermava le treccie biondissime, cadenti sulle spalle. Il suo viso di un
ovale perfetto, era impareggiabile per nobiltà ed attrattive; la bocca
aveva piccola e porporina, il naso diritto, colle narici lievemente
dilatate, il colorito soave, gli occhi azzurri, grandi, vivacissimi.
Entrando, aveva un dolce sorriso sulle labbra.
--Eccomi, caro papà, disse avvicinandosi a lui e baciandolo in fronte,
che vuoi dalla tua Adriana?
--Vorrei essere ubbidito.
Il tuono brusco con cui furono pronunziate queste parole, fecero
trasalire la giovinetta.
--Non l'ho sempre fatto?--replicò.
--No, giacchè persisti nel rifiuto a sposare il marchese Diego.

--Ma io non l'amo, il mio cuore è di un altro.
--Che non sarà giammai tuo marito.
Adriana tremava d'una inaudita commozione, pure nel suo immenso
amore per il giovane attinse coraggio, che in altra circostanza forse le
sarebbe mancato.
--Ebbene sia--disse con voce sicura--rinunzierò a Gabriele, ma non sarò
di Diego.
--E se io te l'imponessi?
--Non puoi volere la mia morte, perchè ti giuro che prima di
appartenere a lui, mi ucciderei.
--Ma che ti ha fatto Diego perchè tu l'odia tanto?
--Nulla, ma un vago istinto mi dice di diffidarne e mi sembra che tu
stesso ne abbia paura.
Il conte pallido come un morto, guardò Adriana con uno sguardo fisso
e stralunato, mentre colla mano destra increspata, stringeva
convulsamente la spalliera della poltrona.
--Io!--esclamò sordamente--Tu sei pazza e giacchè cerchi tutti i mezzi
per sottrarti alla mia volontà, ti ripeto che in breve dovrai adempirla.
--No, mille volte no!--proruppe la fanciulla, benchè nell'accento
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