biancastra
della villa, e la finestra illuminata e sconsolata.
Al nostro apparire Giuseppe che stava seduto appiè del letto si alzò e
guardò verso noi come un reo che si lascia sorprendere.
Senza una parola, senza un cenno, senza respiro io tolsi il candeliere e
lo levai alto perchè il dottore potesse esaminar la ferita. E, pur
combattendo dentro di me, gettai un'occhiata sul sofferente; e osservai
e conobbi la profonda alterazione avvenuta ne' suoi lineamenti.
Soffocato dall'angoscia, avrei voluto gridare: «È questo mio fratello?»
Ma d'improvviso mi parve che quell'occhio, rispondendo a un mio
sorriso velato di lagrime, si animasse e mi fissasse con una espressione
di rimprovero e di dolore così intensa, così acuta, così lacerante, ch'io
non potei sostenerla. Lasciai cader nelle mani di Giuseppe il candeliere,
e mi cacciai in un angolo, col fazzoletto alla bocca.
Un secolo rimase il dottore curvo in quell'atto.
Quando si fu rizzato ed ebbe consegnata a Giuseppe la ricetta, io lo
cercai con uno sguardo, muto, per interrogarlo, Ma egli tacque. Si postò
appiè del letto volgendomi le spalle, e non si mosse che al ritorno del
servo per predisporre l'occorrente alla lavatura e alla fasciatura della
ferita. Alfine aperse il suo astuccio di cuoio nero, e ne cavò un oggetto
che scintillò.
Come io vidi sotto il rasoio recisa cadere e ruzzolar giù pe 'l lenzuolo la
prima ciocca di capelli, quella bella ciocca nera che soleva recingere
l'orecchio del suicida, mi copersi la faccia, con le mani, e mi rifugiai
nell'anticamera, pazzo di dolore.
--Assoluta quiete, assoluto riposo,--venne a raccomandarmi il dottore
prima di licenziarsi.--Nulla, presso l'infermo, che possa turbarlo. Sarà
bene che anche lei si allontani.
Nello stringergli la mano raccolsi le mie misere forze per dimandargli:
--Posso sperare, dottore?
Egli rispose che il caso era assai grave, ma che sarebbe imprudenza
avventurare un giudizio. Bisognava aspettare fino al mattino per
decidere sull'opportunità di tentare un'operazione.
Pietrificato io ristetti sull'uscio a guardar gli strappi di azzurro aperti fra
i nuvoloni che posavan solenni dietro le cime degli olivi rese immobili
anche esse dalla calma sottentrata al furore dell'uragano.
Ma a grado a grado uno straordinario languore m'aveva invaso.
Non mi restava che salire nella mia camera, e abbandonarmi sul letto,
annichilito dal pensiero di quelle otto ore di attesa.
E montai, e m'abbandonai.
Ma quella positura m'era insopportabile. Mi fu forza levarmi; e aprire,
spalancar la finestra, e mettermi a passeggiar su e giù per la stanza.
Un supplizio.
A ogni istante mi strascinavo nell'anticamera in punta di piedi, e mi
affacciavo, trattenendo il respiro, di sulla soglia.
E improvvisamente trafitto da quello spettacolo mi discostavo, e me ne
tornavo disperato, perduto, alla mia finestra, a guardar la fiamma del
fanale che oscillava sinistra in faccia all'entrata del giardino, e a riudir
la voce del mare che avventava di laggiù implacato le sue fastidiose
rampogne e i suoi funesti presagi.
Una volta, una sola volta la stanchezza ed il sonno mi vinsero.
E fu allora, nella dubia luce dell'alba, ch'io mi riscossi, e riconobbi la
testa di Giuseppe che pendeva sulla spalliera della mia seggiola,--e
intesi dalla sua bocca l'orribile frase.
Io avrei ben voluto dissolvermi.
E dovetti, sanguinando, attaccarmi al braccio di Giuseppe, e accorrere,
e assistere all'agonia. Ascoltare una voce che nulla più aveva di umano,
guardar la bocca nera, spalancata, gli occhi appannati, stravolti, da cui
fuggiva l'ultima luce; e prendere tra le mie l'esile mano disfatta,--e
sentirla fredda, nelle mie, come una pietra.
Finchè la Morte, l'atra Morte esecrata entrò, con un corteo di brividi.
Io la guardai, pieno di orrore e di pianto, mentre tutte le rose falciate le
cadevano a' piedi.
Poi guardai, pieno di odio, la Vita.
Oh con che senso di velenoso disgusto sul mattino intesi il canto
improvviso d'un gallo rompente nella chiara serenità come un inno alla
luce, e alcune voci umane che si ripercotevan da un poggio all'altro, in
grembo all'aria sonora, come festevoli saluti!
Più tardi anche i passeri sul tetto, allegri, garrirono, in coro.
E sopra Porto Maurizio e sopra i monti si posò, come una carezza che
ardesse di passione, il sole.
E l'azzurro arrise, chino su quelle vette.
Ma io non osava chinarmi in fondo a me.
Quasi in un cerchio di fiamma viva, mi serrava la frase della vigilia:
Ogni parola, una goccia di sangue.
Passai davanti all'uscio dello studio con un brivido nella schiena, e
scesi giù a precipizio, ed uscii nel giardino, per isferrarmi da quel
cerchio.
In ogni luogo il vento e la pioggia avevan lasciate le loro tracce.
La facciata della casa era livida. Il vecchio rosaio che, pur indugiandosi
ad avviluppar l'inferriata a pianterreno sull'angolo di ponente, saliva,
carico di rose, fino a sfiorar con le ultime rame tenere un davanzale
dell'ultimo piano,--era sbattuto e sconvolto. Le rose, spampanate
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