e
quasi distrutte, portavan fra i petali arrovesciati ancora qualche segreta
lagrima.--All'altro angolo il mandorlo, spogliato de' suoi fiori,
spenzolava mesto un grosso ramo spezzato. I nivei fiori, parte giacevan
disseminati appiè dell'albero, parte lunghesso la balaustrata, e parte si
cullavan, co' petali delle rose, in mezzo alle pozzette d'acqua che
brillavan sul terrazzo qua e là come gemme.
A quando a quando un leggero soffio animava gli olivi in seno alla
vallicella, e recava su col mormorio le acri e buone fragranze della terra
bagnata e del verde.
Dopo il flagello la Natura si rilevava, fresca e ridente, nella sua
giovinezza immortale, e prometteva e apparecchiava un nuovo scoppio
di rigoglio e di vita.
Certo questo era dolce e consolante!
Ed era orribile pensare ch'egli non verrebbe più, con quella sua nobile
aria pensosa a seder su quel sedile, a rimirar quel cielo e quel verde, ad
ascoltar que' rumori, a respirar quegli odori. Che non risponderebbe più
al mio saluto con quel suo pio sorriso. Che non proverebbe più, mai più
la gioia di vivere e di sentirsi fino alle viscere immerso nelle profonde
ristoratrici ebbrezze della Natura e dell'Arte!
Ma era anche più orribile pensare ch'egli avea potuto disprezzar tutto
ciò; e staccarsene, volontariamente; e per sempre!
Da quale cupo vertiginoso abisso aveva egli attinto la disperata forza
dell'abbandono e della rinunzia?
Ogni parola, una goccia di sangue.
Levavo gli occhi alla finestra dello studio, chiusa; e inorridivo.
Pensavo a quel racconto, all'urna che custodiva forse il sanguinoso
segreto: e fremevo di febbre e di spavento.
Due giorni, due lunghi giorni, sostenni l'intima inaudita battaglia.
Il terzo giorno feci da Giuseppe aprire quell'uscio e schiudere un po' la
finestra perchè almeno un raggio di sole consolasse la penombra.
Feci mettere sulla scrivania un mazzo di rose.
E salii, come salissi a una tomba.
LA ROVINA
I.
Un mattino di giugno, per la stradicciuola solitaria lungo il mare, ella
mi ora passata dinanzi rapida, nera, con un'audace andatura;
avventandomi in faccia il fruscio delle sue sottane di seta e un violento
profumo: urtando e sconvolgendo fino alle ultime fibre tutto il mio
essere.
Io m'era, con un brivido, rivolto a dietro, ad assicurarmi che anche quel
tratto di strada alle mie spalle era deserto, che tutto intorno era deserto
e immoto, sotto la gran luce silenziosa.
Poi, in preda a una febbre che s'alimentava di procaci immagini di
lussuria sorte improvvise nella mia mente, l'avevo seguitata: gli occhi
annebbiati, le gambe che mi tremavan come giunchi, il cuore che mi
martellava.
La strada, svoltando bruscamente a un punto, si rinchiudeva
nell'angusto arco di una gola in mezzo a cui scorreva, nascosto, un
fossato, e s'adagiava una piccola casa bianca.--Quando io ebbi, dopo la
sconosciuta, svoltato; ed ebbi dinanzi quel segreto seno, e la casetta
bianca che brillava, unica, al sole,--qualche cosa di decisivo scoppiò in
me. I battiti del mio cuore si accelerarono. Ed io accelerai il passo
dietro lei che fuggiva; e raggiuntala mentre metteva il piede sullo
scalino del cancello per incurvarsi ad aprire, l'avvolsi da capo a piedi in
un lungo cupido sguardo; e trasalii, sfiorandola.
In un sorriso che balenò come un lampo ella spalancò su me due grandi
occhi lucenti di tenebrosa maraviglia. Aperse, richiuse in fretta il
cancello facendolo sbatter forte; attraversò, leggera come un uccello, il
breve spazio ghiaioso (udii la ghiaia stridere sotto i suoi piedi), e
scomparve.
Non più di venti passi io potei procedere portando entro me prepotente
il tumulto suscitato da quella fugace visione passata lasciando sul fondo
oscuro della mia anima un solco di fiamma.
Quando mi voltai, e la rividi, affacciata alla finestra, che mi fissava,
sentii da me fuggire quasi l'essenza della vita. Come cera al fuoco sotto
quello sguardo mi sentivo struggere, e mi lasciavo struggere.
Ma l'immobilità mi costava sangue. Con le gambe che mi si piegavano
rifeci quel pezzo di strada; e ripassai sotto la finestra, e bevvi ancora,
con gli occhi levati, avido, insaziato, inebriato. Gittai ancora,
allontanandomi, alcune ultime occhiate, ultimi saluti a cui avrei voluto
imprimere un particolar significato di promessa, di pegno, e di
suggello.
E scappai con in cuore il tesoro d'una certezza soave, calda, irruente.
Nell'aperto riso, nel tripudio immenso di tutte le cose, come esultava e
traboccava, cantando, il mio essere!
Certo il mare, il mare turchino che alla spiaggia aveva il fruscio della
seta, non aveva tremolato mai così vago, nè il sereno aveva brillato mai
così vivido, nè l'aria aveva mai, così limpida, rivelati in tutta la loro
smagliante freschezza i colori e le forme delle cose.
Per tutto la vita, la gioia della vita si appalesava, zampillando diffusa,
intensa, vittoriosa.
E trionfava, baldanzosa, maravigliosa, sovrana.
Che voluttà, che inaudita voluttà, tuffarsi in quell'onda vivificante di
gioia! Che ebbrezza, che divina ebbrezza, annegarvisi!
Davanti
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