La rovina | Page 5

Angiolo Silvio Novaro
che non lo raggiunse piantandovi sopra un
piede con una voce vittoriosa.
Le gran risate, allora! Il cappello tutto lordo e malconcio; il vestito
inzuppato e inzaccherato da cima a fondo--un vero orrore!
--Via presto per carità! A momenti ho tutta l'acqua
nell'ossa!--supplicava ora lui. E crollava le braccia, per iscuoter la
pioggia; e rideva, d'un riso fresco e spensierato di adolescente che
innamorava.
Poi a Giuseppe che s'ingegnava alla meglio di rasciugarci, raccontò la
storia, rabescandola di particolari.
Che felicità!
Il gas splendeva di nuovo nella sala. La faccia di Pietro s'era spianata;
ed il vecchio servo pendeva ancora dalle labbra di lui con lo sguardo
rilucente di attenzione e di devozione affettuosa.

Per questo io non mi meravigliai udendo:
--Datemi ancora un po' di cognac. Sono tutto gelato!
Bisognò che mi cadesse sotto gli occhi il bicchierino ricolmo, e quella
mano esangue che s'allungava tremando, perchè un nuovo soffio
d'inquietudine passasse sulla mia anima e la increspasse.
Ma egli si rizzò.
--Avrai tu voglia di leggere?--mi chiese a bruciapelo, prima di
allontanarsi.
Vedo ancora il suo sorriso ambiguo presto dileguato, soggiaccio ancora
adesso a quel pauroso smarrimento che mi prese allora, quasi io mi
fossi, per un attimo, affacciato a un abisso.
--Che significa questo?--esclamai, fissandolo, nella vertigine.
Egli rise un'ultima volta.
--Gli sprazzi del cognac!
E mi prese la mano, e me la strinse come in una morsa.
Oh perchè se io ebbi in quel punto il presentimento della catastrofe e
l'istintivo impulso di cacciarmegli dietro e abbrancarmegli alle
ginocchia gridando: «Non ti lascio più!»--perchè non mi mossi?
Come impietrato stetti a sentirlo salire su per le scale, e aprir l'uscio
della camera, e richiuderlo con dolcezza. Poi, come ogni rumore fu
cessato, nell'ansietà del silenzio, mi feci da Giuseppe portare i giornali
illustrati, e mi misi a sfogliarli, per distrarmi.
Fu forse dopo dieci minuti che scoppiò l'orribile tuono.
Giuseppe, che stava ordinando le seggiole, levò la faccia pallida,
gridando:

--Ohimè cosa succede?
Ah il terror cupo di quella corsa nell'oscurità! E il raccapriccio mortale
di quella vista! Lo squarcio nero della ferita dietro l'orecchio, il sangue,
il vivo sangue che colava a lordare il cuscino e il lenzuolo; e quel roco
lamento che gli usciva dalla bocca bavosa; e quell'occhio, soprattutto
quell'occhio spalancato, fisso nel vuoto, vitreo!
Io non ebbi, subito, la forza di far nulla. Con le mani nei capelli, pazzo,
giravo per la stanza supplicando Giuseppe che facesse presto, per carità,
che prendesse questo e quell'altro, che non me lo lasciasse morire. Poi
tornavo a lui. Posavo il candeliere a terra accanto al braccio che
spenzolava fuori dell'orlo del letto, inerte; e chiamavo «Pietro! Pietro!»,
tra le lagrime. Ma egli non udiva. Non moveva quel braccio, non
moveva quell'occhio, quell'afflittissimo occhio sbarrato.
Alfine tolsi dalle mani di Giuseppe le strisce di tela ch'egli aveva
preparate; e mi curvai sul misero, e fasciai, tremando da capo a piedi, la
ferita; e sentii nelle mie mani cadere e scorrere alcune gocce di sangue.
--Presto il dottore!--supplicai appena terminato.
Ma il pensiero di dover rimanere una mezz'ora lì nella casa
abbandonata, flagellata dalla pioggia e dal vento; ed in quella camera, a
quella luce fioca, davanti a lui, a mio fratello che agonizzava,--mi
riempì di spavento.
--Dal dottore vado io!--proruppi.
E uscii.
E ridiscesi, ancora sotto la pioggia molesta la scala del giardino; e
passai un'altra volta sotto a quel fanale ove mezz'ora dianzi egli s'era
chinato a raccattare il cappello ridendo. E mi misi a fuggire con un
brivido nella schiena, udendo alle mie spalle riecheggiare la lugubre
risata.
Così raggiunsi il paese, attraversai la piazza allagata e deserta, mi

internai per la stretta via bieca, e salii, trafelato, sfinito, a battere a
quell'uscio.
--È mio fratello che muore!--proferii dinanzi alla vecchia che mi si
presentò.--Dite al dottore che s'è ferito con un'arma da fuoco. Che non
perda un minuto, per carità!
Ella andò; ed io rimasi lì solo, nell'ombra, appoggiato al muro, ad
aspettare. E rividi la scena con una evidenza violenta. Chiusi gli occhi,
raccapricciando. E rividi ogni cosa ancora. Il sangue che lordava il
cuscino e gocciolava giù per il lenzuolo; lo squarcio della ferita nera,
orrenda; e quell'occhio, quell'occhio soprattutto, spalancato, immobile,
vitreo. Ed allora si rinnovò in me la mostruosa impressione che
m'aveva percosso in cospetto del suicida.--Mi pareva che non quella
mano, quella piccola mano innocente che spenzolava fuori del letto
avesse vibrato il colpo e fatto l'atroce scempio: ma veramente una
gigantesca mano nascosta nella tenebra e obbediente a una terribile
arcana potenza vendicatrice.
Ma venne il dottore con un silenzioso saluto a liberarmi.
Muti scendemmo le scale, muti ci avviammo su per lo stradone: egli
col solito suo passo tardo indolente: io costretto, fremendo, a frenare il
mio che s'affrettava.
Pure svoltammo, lassù; e scoprimmo il fanale, e la macchia
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