La pergamena distrutta | Page 8

Virginia Mulazzi
si aveva per quei religiosi grande considerazione e rispetto, e si
ricorreva sovente a loro per consiglio ed ajuto.
Molte volte taluno di essi aveva consolato degli infelici, rasciugate delle lagrime ed
impedita qualche prepotenza.
Anche i cavalieri avevano talora, talora fingevano avere dei riguardi per quei frati.
Malgrado tutto questo però, don Francesco credeva facilissimo ridurre il benedettino,
ch'ei ricercava, al silenzio.
Era questo per lui come il primo passo che farebbe in una via la quale doveva divenire
aspra soltanto procedendo.
Donna Livia, il cavaliere di Malta gli sembravano i soli, i veri ostacoli, nei quali avrebbe
forse ad inciampare.

Il suo amore per la sposa gl'impediva non solo di punir lei, ma ben anche di punir donna
Rosalia, come lo avrebbe voluto, come lo aveva detto. Ciò gli allontanerebbe troppo, lo
sentiva, donna Livia, La sapeva capacissima di qualunque più forte risoluzione, ed anche
avveduta tanto da mandarla ad effetto.
La sofferenza da lui avuta quella notte, i rimproveri sopportati dalla duchessa lo facevano
arrossire di sè medesimo. Cedere, riparare la colpa del padre gli sarebbe sembrato una
gran debolezza; come se fosse debolezza il saper vincere i pregiudizii creati da un amor
proprio eccessivo.
Il potere, che donna Livia aveva sopra di lui, umiliava il duca; ma era grande, immenso:
tale che, se ei non fosse stato sì orgoglioso, sì ostinato soprattutto, sarebbe caduto a' suoi
piedi quella notte; sì, quella notte istessa in cui ella aveva sì arditamente distrutta la
pergamena.
Grazie alla di lui alterigia però, colla quale in apparenza soffocava la sua passione,
nessuno, donna Livia istessa, sapeva fino a qual punto egli l'amasse.
Quell'amore era una specie di tormento per un uomo del carattere del duca.
In un tempo in cui le donne non sapevano opporre ai voleri ed anche alle ingiustizie dei
mariti, dei padri, dei fratelli che una barriera di eterne lagrime, il carattere eccezionale
della duchessa poteva spiegare in parte l'ascendente ch'ella aveva su don Francesco. Per
altro, se non ne fosse stato tanto innamorato, è certo che la temerità di donna Livia,
com'ei la chiamava, avrebbe potuto costarle assai cara: e questa volta, nell'affrontare la
volontà del marito, ella aveva pensato poter correre pericoli reali.
Dopo averla lasciata, il duca si era dunque occupato del padre benedettino.
Ma il monaco poteva essere ancora al capezzale del morto: e prima di recarsi al convento,
don Francesco se ne informò dai domestici.
Gli fu risposto che il frate era partito da qualche tempo per un paesello vicino, che gli
nominarono, e ch'ei doveva essere ancora per via.
Don Francesco pensò che con un buon cavallo gli sarebbe facile raggiungerlo. Preferiva
parlargli sulla strada, anzichè entrare nel convento, ove la sua presenza farebbe un
chiasso che non si curava di provocare. Poi il segreto sull'affare, che tanto gli premeva,
verrebbe certo più facilmente serbato.
Ordinò dunque gli si sellasse tosto un cavallo, e quando questo fu pronto, gettatosi sulle
spalle un ricco mantello, partì.
Era nel mese di gennaio, come fu detto. L'aurora, spuntava appena; sicchè il freddo era
abbastanza vivo.
Il duca cavalcava pensieroso, colla maggior rapidità che consentisse il terreno ineguale:
poichè il villaggio additatogli era situato nella direzione dell'Etna, di cui il sole

cominciava a colorire la vetta.
Ma tratto tratto don Francesco si arrestava, onde osservare innanzi a sè. Cominciava ad
impazientarsi di non scorgere il frate. Finalmente lo vide; mise il cavallo al galoppo, ed in
pochi istanti gli fu vicino.
Quegli si era già rivolto, e si scosse riconoscendo il duca. Che vorrebbe da lui? Ahi, che
temeva d'indovinarlo! Indirizzò al cielo una muta e calda invocazione, e salutò
rispettosamente don Francesco.
Questi rispose con un leggiero cenno del capo; indi:
--Devo parlarvi, padre, gli disse, e con accento alquanto imperioso, senza perdere tempo
continuò:--Mi risponderete come vi parrà; ma, rammentatevelo bene, con precisione, con
chiarezza.
In quell'istante il povero benedettino aveva a sopportare non soltanto l'abituale alterigia
del duca, ma anche tutta la collera che questi sentivasi in cuore per tante cagioni, e che
desiderava sfogare contro qualcheduno.
Quel frate non poteva davvero trovar don Francesco in un'ora peggiore.
--Vi ascolto, Eccellenza, rispose.
--Voi, riprese il duca, avete confessato mio padre, ed egli vi ha confidato un segreto.
--Ebbene?
--Ebbene, quel segreto io voglio sia sepolto per sempre: sicchè, mi comprendete.... Guai a
voi se lo aveste a svelare!
--Ma la mia coscienza....
--Che coscienza! interruppe don Francesco: cosa c'entra la vostra coscienza in un affare
che riguarda soltanto la mia famiglia? Vorrei vedere che ve ne immischiaste!...
E volse sdegnosamente il capo.
--Vostro padre dopo la confessione, disse il benedettino, mi aveva incaricato di svelare
quel segreto; dunque....
Anche questa volta il marito di donna Livia non lo lasciò continuare, e:
--Questo non è affar vostro, ve lo ripeto: d'altronde il povero duca non ragionava
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