La pergamena distrutta | Page 5

Virginia Mulazzi
da viaggio, specie di zimarra di
velluto nero, foderata di seta azzurra.
Era la moglie di don Francesco, ora duca dell'Isola.
Il cavaliere di Malta seguiva con inquietudine lo sguardo di suo cugino: forse temeva per
donna Livia la collera di lui.
Ed infatti come le perdonerebbe egli, per natura violento ed altiero, di aver distrutta
quella pergamena, che teneva preziosa, e l'insulto ricevuto innanzi alla famiglia?...
Opporsi, come ella aveva fatto, alla volontà del marito, sfidarla in un tempo in cui questi
aveva sulla moglie un'autorità illimitata, era certamente correre grave rischio.
In faccia alla morte sembra che ogni sdegno dovrebbe tacere: ed invece in quella

circostanza i rancori si risvegliavano, nascevano forse.
E chi cercherebbe il cavaliere dell'Isola, od i suoi figli? Ove sarebbero?
Don Francesco che farebbe, nel caso si ritrovassero suo malgrado?...
Il benedettino conosceva la causa dell'agitazione che regnava tra i membri della nobile
famiglia dell'Isola: aveva confessato il defunto, che a lui per primo rivelava il segreto.
Non sapeva però nulla della scena accaduta allora.
Il vecchio duca gli aveva detto che, se non veniva distrutto l'atto col quale si diseredava
nella forma più solenne il cavaliere dell'Isola, e che ne conteneva anche la rinuncia, non
si potrebbe rimediare: giacchè se don Francesco lo avesse conservato malgrado gli ordini
del padre, non avrebbe che a mostrarlo per rendere vano ogni sforzo.
Quel frate era veramente un uomo dedicato esclusivamente a Dio, e che metteva
nell'adempimento dei suoi doveri una convinzione sincera e profonda.
Buono, caritatevole, cercava ogni mezzo per far del bene: si chiedeva adunque con vera
angoscia come dovrebbe agire in quella circostanza, che poteva metterlo in difficile
situazione.
Ah! nessuno pensava veramente al morto!
Tutti sembravano impietriti.
Donna Livia si strappò prima a quella immobilità.
Si accostò al letto, e s'inginocchiò presso donna Rosalia. Nel passare dinanzi a don
Francesco aveva incontrato il di lui sguardo, che non l'aveva mai lasciata un istante.
--Grazie, diss'ella quindi alla giovane cognata, quando le fu vicina; senza di voi, donna
Rosalia, non sarei forse giunta in tempo.
--Sono io che vi devo molta riconoscenza, rispose la giovinetta: per voi mio padre non è
morto disperato.... Ah! possa Dio perdonargli!
Donna Maria notò quel breve colloquio, e lo fece con un cenno rimarcare al fratello.
--Ah, mormorò questi, sì?... Donna Rosalia le era andata incontro senza che me ne
avvedessi.... L'aveva prevenuta di tutto.... Sciagurata anch'ella!
Donna Maria non potè reprimere intieramente un leggiero sorriso.
Il cavaliere di Malta le si avvicinò:
--Oh! le disse sommessamente e con indignazione: non arrossite voi, donna Maria?
Invece di calmare voi attizzate gli odj! Come lo potete in questo istante?

Ma ella era nel numero di coloro che credono lecita ogni colpa, purchè siano essi che la
commettano.
Alzò sul cugino i suoi grandi occhi neri, e rispose poi, torcendo il bel capo:
--Come potrei io rispondere a tali rimproveri?
Cosa strana! Quell'uomo era coraggioso, franco: eppure rimase intimidito: si pentì quasi
di aver ceduto ad un subito impulso di collera.
Certe sensazioni non si ragionano: non si comprendono nemmeno talvolta: ma si provano,
benchè non abbiasi il coraggio di confessarle.
Don Francesco si era pure avvicinato al letto funebre del padre, ed immergeva i suoi
sguardi ora in questo, ora nella sposa, ora in donna Rosalia.
Era impaziente: il prolungarsi di quella situazione gli pesava: ma però si conteneva
perfettamente, tanto che il conte di San Giorgio, il quale l'osservava di continuo, si chiese
se egli si fosse risolto a perdonar tutto ed a riparare la colpa del padre.
Dopo breve tempo il cavaliere di Malta si congedò freddamente da don Francesco: non
sapeva che fare: andò a stringere con amicizia le mani di donna Rosalia, sua figlioccia:
poi fece per parlare alla giovane duchessa; ma in quell'istante vide donna Maria guardarlo
in un modo che lo spaventò: sicchè senza proferir parola, salutò profondamente donna
Livia, ed escì.
Che significava tutto ciò?
Don Francesco fece sortire le sue sorelle: indi si rivolse a donna Livia:
--Venite, signora, le disse.
Ella si alzò e lo seguì. Era commossa; ma nulla indicava che fosse atterrita.
Il duca silenzioso la condusse nel loro appartamento in una sala, di cui rinchiuse gli usci:
indi, piantandosi in faccia a lei, la fissò qualche momento senza parlare: finalmente diede
libero sfogo alla sua collera.
--Ah! esclamò, voi pensaste dunque di potermi offendere impunemente? Mi credeste
vostro schiavo, vostro trastullo? Non mi conoscete ancora?... Vi pentirete, signora, di
quanto avete fatto: ve ne do la mia parola!...
--Mai! rispose donna Livia con voce sicura; mai mi pentirò di un'azione giusta.
--Un'azione giusta!... Osate chiamarla tale in faccia mia?...
Ed il duca furibondo fece un passo verso di lei: ma subito si arrestò. Gli è ch'ella era pur
bella in quell'istante, in cui un nobile sdegno aveva acceso
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