che al momento di lasciare la
terra, s'impadronisce talvolta di coloro che in vita commisero grandi colpe.
E tale esaltazione, possibile sempre, era naturale nel duca in un'epoca in cui la fede non
poteva quasi essere intieramente soffocata in alcuno: e si riaccendeva allo spegnersi della
vita con tutte le proporzioni della superstizione.
Così allora quell'uomo, il quale aveva negato a suo padre moribondo ciò che a lui,
moribondo pure, negava ora il figlio, e che di più era stato prima causa della ingiustizia
cui voleva rimediare sì tardi, sentivasi sinceramente compreso d'orrore per la condotta di
Don Francesco.
Era pentimento? Era certezza che Dio punirebbe suo figlio, come puniva lui? Forse eravi
anche questo nella sua disperazione.
Vedendo don Francesco risoluto a non distruggere la pergamena, egli si chiedeva con
terrore se quel segreto passerebbe così di padre in figlio, senza che mai vi fosse chi
volesse rimediare.
Ma ora non era però più un vero segreto: altre persone, oltre a don Francesco, lo
conoscevano: ma, ove anche parlassero, che mai potrebbero fare se egli conservava la
pergamena?
Dunque a che giovava?
Poi suo figlio, che egli conosceva pur troppo ostinato e duro, non vorrebbe ottenere il
silenzio di tutti, a qualunque costo?
Ed allora le sue ultime parole, invece di cancellare una colpa antica, aprirebbero mai il
varco a nuovi delitti?...
Come finirebbe tutto?...
Queste idee tormentose traversavano lo spirito del duca colla rapidità del lampo, ed
aggiungevano ancora, se possibile, agli strazj che già lo laceravano.
E la morte veniva. La sentiva avvicinarsi a passi accelerati!...
Ah perchè, perchè non aveva evitate sì crudeli angosce?...
Vedendo che il cavaliere di Malta voleva parlare, il morente gl'impose colla mano
silenzio.
--Io muojo! esclamò disperatamente, volgendosi a suo figlio: se voi non mi obbedite, Dio
non vi perdonerà! Distruggete, distruggete quella pergamena!...
--Voi, rispose don Francesco con un rispetto che sembrava una derisione, voi non
ragionate più, signore! Perciò non comprendete quel che comprendeste in passato: che
l'interesse cioè ed il decoro della nostra casa esigono venga conservata questa pergamena;
poichè altrimenti, oltre il danno, si provocherebbe uno scandalo.
--Oh cielo!... Siete dunque risoluto?...
Ed il vecchio duca si lasciò cadere affranto sui ricchi guanciali.
--Sì, riposate, signore, continuò il figlio: vi fa male agitarvi tanto!...
E don Francesco, girando il suo sguardo imperioso intorno a sè, aggiunse lentamente:
--Chi mi impedirà di lasciare le cose come sono sempre state?
--Io!... disse entrando una giovane dama, seguita da donna Rosalia.
E strappò nello stesso tempo quasi di sorpresa la pergamena dalle mani di don Francesco
attonito, interdetto.
--Donna Livia! esclamarono insieme il vecchio ed il conte.
E prima che gli astanti si riavessero dallo stupore. donna Livia aveva già gettata la
pergamena sulla vivissima fiamma che splendeva nel camino, e che in un attimo la
consumò.
Comparsa, parola, azione, tutto era stato l'opera di un istante.
--Oh! grazie! mormorò il vecchio duca: grazie!
--Il cielo vi ha mandata, signora! disse il cavaliere di Malta, contemplando con emozione
donna Livia.
Don Francesco si avvicinò a lei, dicendole con voce concitata e tremante per la collera,
per il dispetto:
--Che avete voi fatto?
--Nostro padre è morto! esclamò in quell'istante donna Rosalia, che trovavasi più vicina
al letto.
Era vero!
L'ultima scossa era stata violenta! La speranza aveva precorso di qualche istante l'opera
della morte!
II.
Vi fu qualche minuto di confusione.
Intanto il frate benedettino rientrò nella camera. Tornava dal convento, ove era andato ad
annunziare che passerebbe tutta la notte presso il duca dell'Isola: aveva certamente
creduto in una più lunga agonia. S'inginocchiò presso il morto, e si mise a pregare.
Donna Rosalia si univa sola a quelle preci: gli altri erano ancora sotto l'impressione della
scena di poco prima. Anche la giovinetta non l'aveva dimenticata: ma pure poteva
piangere il padre.... Sembrava che la morte, questo grande mistero, esercitasse sopra di lei
una specie di attrazione. Certo dessa vi guardava senza timore, fors'anche con desiderio.
Don Francesco fissava severamente donna Livia, come se avesse voluto fulminarla col
suo sguardo nero. Vi era del furore in quello sguardo, e nel furore una minaccia per ciò
che ella aveva fatto.
Ella evitava di mirarlo.
Donna Livia era una bella dama, che dimostrava venticinque anni al più: i suoi magnifici
capegli neri, eppure morbidi e fini, formavano un magico contrasto colla bianchezza
abbagliante della sua pelle. Ma la bellezza principale di quel volto erano gli occhi,
dell'azzurro più puro: grandi, profondi, perfettamente ombreggiati, ma forse un po' troppo
severi per una giovane donna. Però i tratti di lei erano poco accentuati; e ciò le toglieva in
severità, e le aggiungeva in grazia. La sua statura era di poco più alta dell'ordinaria, e la
persona elegante in modo, d'avere nei minimi suoi atti della seduzione.
Donna Livia portava quella notte un ricco mantello
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