nelle arterie; la persona si ergeva snella sul fianco; il viso era
fresco e lucente; gli occhi scintillavano; i muscoli tutti brillavano, come
fossero molle di acciaio. Intanto, l'ospite suo, la camera, tutti i muti
testimoni della sua triste vecchiaia, erano scomparsi. Aveva diciott'anni
nè più nè meno. E, scambio della chicchera (dov'era andata la
chicchera?), il signor Commendatore si trovò fra le mani un pezzo di
carta, coi fregi sui margini e un bollo largo tanto, in cui si diceva che il
signor Niccolò Ariberti aveva superato il giorno addietro con lode la
prova d'ammissione agli studi legali nella università di Torino.
--To'!--diss'egli ammirato.--Nell'università di Torino, dove per
l'appunto ho fatto i miei studi? Non mi dispiace.--
Fu questo l'ultimo anello che congiungesse il signor Commendatore
alla sua morta vecchiezza. Da quel punto egli non ebbe più memoria di
nulla; entrava a gonfie vele nel mare della sua gioventù. Diciott'anni!
L'età dell'oro!
CAPITOLO II
Dove si sente la primavera ad autunno inoltrato.
Il sole, quantunque si fosse a mezzo novembre e sotto le Alpi, amiche
degl'inverni precoci, non era mai parso così splendido come quel
giorno al nostro adolescente. Egli era allegro, felice, beato, e per due
buone ragioni.
Cominciamo dalla prima, e dalla più vicina eziandio. Egli non aveva
più, per quell'anno, da pensare agli esami.
Intenda la sua beatitudine chiunque, tra' miei più giovani lettori, ne ha
ancora parecchi da mandar giù e griderebbe volentieri: transeat a me
calix iste, se nulla nulla sperasse di essere esaudito. In verità, gli è un
grosso guaio cotesto, di dover rispondere sì o no intorno ad una materia
che non si è studiata, e ad uomini che qualche volta ne sanno quanto
noi, cioè a dire pochino, pochino. Aggiungete che qualche volta il sì ed
il no, anco a indovinarla, non bastano. Ci sono dei professori assetati, i
quali hanno fatto il conto colla statistica alla mano, e pensano che, a
questi patti, stando neutrali il diavolo e i santi, il cinquanta per cento
dei giovani vi rispondono in tono. Ora questo non va bene; pretendono
che l'alunno risponda per filo e per segno; che sostenga il suo sì, o il
suo no, corredandolo di documenti e di prove.
Questi, s'intende, sono i professori birboni, che si stimano poi, ed ai
quali si manderanno volentieri i propri figli, se ne saranno capitati, e se
i professori avranno avuta la pazienza di aspettarli; ma che pel
momento si mandano a tutti i settecentomila settecento e settantasette
diavoli, nel paternostro della bertuccia.
In simili casi, al povero studente (povero perchè della sua scienza non
possedeva neanche gli spiccioli) gli bisognava destreggiarsi come un
pilota in burrasca, e in mare seminato di scogli. La reticenza, così
lodata una volta dal suo maestro fra tutte le figure retoriche, gli sarebbe
rinfacciata come una colpa. Ad altro, ad altro gli conviene far capo;
altri spedienti, altri artifizi gli occorrono. Figuratevi che egli ha da
diventare anche fisonomista, e cogliere tra le grinze del volto, perfino
nel modo di tenere gli occhiali, il segreto dei mutevoli umori del suo
Radamanto.
Un mio amico andava più oltre. Corrompeva la serva del professore,
ingenua creatura che credeva agli orecchini di princisbecco, per sapere
se quella notte il bravo uomo aveva dormito tutte le sue ore, se i bimbi
erano sani, se la signora non gli aveva fatto scene; e si regolava in
conformità dell'avviso.
Dunque, tornando alla contentezza del signor Nicolino, la prima
ragione era quella degli esami superati. E l'altra? L'altra era questa: che
il signor Nicolino era a Torino, senza sopraccapi, e che non doveva
tornar più per un pezzo a Dogliani. Non già che amasse poco la
famiglia; ma quella vita campagnuola, Dio santo, e dopo quattro mesi
di uggiose vacanze!...
Giudicatene voi. La mattina, tutti in casa si alzavano per tempo; la
gente di servizio al canto del gallo, perchè il pane lo s'impastava in casa,
perchè c'erano i pavimenti da scopare, le masserizie da ripulire, le
stoviglie da rigovernare, e via discorrendo; il signor Amedeo, padre,
una mezz'ora dopo, per uscire sui campi, a dar l'occhiata del padrone ai
mezzadri; la signora Caterina, madre, subito dopo il marito, per
sopraintendere alle faccende di casa, ma anzitutto per farlo star su, lui,
il dormiglione, che tra una chiamata e l'altra di quella santa donna
trovava ancora il modo di schiacciare il sonnellin dell'oro.
Si vestiva a malincuore; usciva a stiracchiarsi ed a sbadigliare nell'orto,
per farsi cantare da una fante chiassosa il solito ritornello:--Chi
sbadiglia non può mentire; o gli ha fame, o vuol dormire; o gli ha
qualche mal passato; o gli è forte innamorato.--
--Tutte e quattro queste cose;--rispondeva egli, mezzo burbero e mezzo
faceto;--ho sonno, ho fame, ho pensato che oggi sarà come ieri, e sono
innamorato, ma non di te. Va,
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