La contessa di Karolystria | Page 7

Antonio Ghislanzoni
voi converrete, o signora, che anche il
vostro contegno in questa imbrogliata vertenza non si presenta
abbastanza corretto per escludere ogni supposizione meno favorevole
alla vostra onoratezza,

Il visconte, che fin là era rimasto mutolo cercando una scappatoia per
uscire da quella falsa posizione, atteggiando il volto a mestizia, con
voce supplichevole rispose:
--Io vi ho dichiarato il mio nome, io vi ho presentato un documento,
mio marito poco dianzi ha mostrato di riconoscermi. Signor
commissario, ne attesto il cielo, ne attesto tutti i santi, io sono la sola
donna che sulla terra abbia il dritto di chiamarsi Anna Maria contessa
di Karolystria, Via, Bradamano! guardami bene... riconoscimi... Questo
elegante cappellino ch'io tengo in testa... questa splendida ciarpa
ricamata in oro... questa veste... questi gioielli... non rappresentano
altrettanti pegni della tua generosità e del fervido amore che mi portavi
in altri tempi?
Il conte guardava fissamente, cogli occhi gonfi di lacrime, e pareva
affermasse con meccanico ondulamento del capo.
Poi, come riscuotendosi da una momentanea allucinazione, slanciossi
col pugno alzato verso il visconte.
--In nome di Dio! esclamò questi riparandosi dietro le spalle del
commissario, difendetemi da questo pazzo furioso!
--Pazzo! lo aveva sospettato... Venite, povera contessa... mettetevi in
salvo!
Il conte, avventandosi con tutto l'impeto della sua rabbia, andò a
stramazzare presso l'uscio che si chiudeva fragorosamente dietro i passi
del commissario e del visconte,
--Maledizione! Maledizione! ruggiva lo sventurato, avvoltolandosi sul
pavimento.
Frattanto, il commissario spediva al manicomio un avviso perché gli
mandassero due guardie provvedute di una camicia di forza; e il
visconte, rimasto libero, scambiate poche parole con un doganiere che
lo attendeva alla porta, si dirigeva a passo concitato verso l'albergo
della Maga-rossa.

Chi era quel doganiere? domanderanno i lettori meno perspicaci.
Perché era là, appostato, ad attendere il visconte? Cosa si dissero in
quel breve colloquio?...
Il doganiere era quello stesso (fate di sovvenirvene), al quale il visconte,
al momento del suo arresto, aveva affidata la puledra perché la
conducesse all'albergo della Maga rossa.
Il buon ragazzo, adempiendo scrupolosamente alla commissione
ricevuta, aveva parlato colla contessa, e questa a sua volta lo aveva
incaricato, se per caso gli fosse occorso di poter abboccarsi col visconte,
di comunicargli colla maggior segretezza i suoi divisamenti.
Per tal guisa, il nostro gentiluomo venne a sapere che la bella signora di
Karolystria intendeva partire quella notte istessa alla volta di Mirlovia;
che giunta colà, essa avrebbe pernottato all'albergo del Pappagallo per
proseguire il viaggio al mattino seguente; ch'ella aveva ripresa la sua
puledra, lasciando il cavallo del visconte nella scuderia dell'albergo;
che infine gli abiti del visconte erano stati rinviati alla foresta di
Bathelmatt a mezzo di un guattero di buona volontà, del quale non si
era più avuta contezza.
Raccolte queste informazioni, e promessa una larga mercede al
doganiere, il visconte, come abbiam detto, correva alla Maga rossa;
quivi giunto traeva dalla stalla il suo Morello, e senza mutare d'abiti,
nel suo splendido abbigliamento da amazzone, montava in sella e
partiva di galoppo sulle orme della bella fuggitiva.
Il visconte amava dunque la contessa? No. Il visconte amava le
avventure, ed era anche (è tempo che i lettori ne siano informati) un
enfatico propugnatore dell'emancipazione della donna.

CAPITOLO IV.
La pioggia imperversava; i lampi succedevano ai lampi; pareva che la
vôlta del cielo stesse per crollare, bombardata da un esercito di diavoli.

Frattanto, in un modesto salottino al pian terreno, due preti sonnolenti
ruminavano gli ultimi crostini di una cena ritardata. In quel giorno, i
due preti avevan proprio lavorato da forzati: perocchè all'indomani
ricorresse a Mirlovia il centenario della santa patrona del paese.
Figuratevi, dunque, se alla vigilia della grande solennità, il parroco e il
coadiutore di Mirlovia dovean esser spossati!
--Peccato! esclamava don Fulgenzio, portando alle labbra un bicchiere
di malvasia, questo tempaccio manderà sossopra le porte trionfali e le
impalcature che abbiamo erette sul sagrato--Domattina ci converrà
esser in piedi di buon'ora e rimetterci di lena al lavoro...
--Ergo, andiamo a coricarci, rispose il parroco levandosi in piedi e
stendendo la mano al candelliere. Son l'undici e trenta... Ho dato ordine
al sacrista che venga a svegliarci alle cinque...
I due preti eran sulle mosse per salire alle loro stanze, quando alla porta
della casa parrocchiale vennero bussati due colpi...
--Chi mai a quest'ora?
--Qualche disgraziato sorpreso dal temporale per via.... Don Fulgenzio,
andate ad aprire.
--Vi faccio osservare...
--Andate subito, don Fulgenzio! In una notte come questa sarebbe
peccato negare ricovero, ad un cane.
Don Fulgenzio attraversò il porticato e andò a schiudere la porticella
che dava sulla, via.
--Dio di misericordia!.... Venite, venite, povera signora! Si è mai
veduta una creatura umana più maltrattata dalle intemperie?
Così esclamando, il coadiutore introdusse nella casa una figura animata
che aveva tutte le apparenze di una bella e giovane dama, sebbene, allo
scompiglio delle vesti ed alla
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