e la pratica del delitto la mercede della virtù? Chi è il sapiente
che ne ammaestra a distinguere l'uno dall'altra? Chi quegli che ne
insegna in che cosa consistano? Il delitto di questo secolo stimarono e
stimeranno il delitto dei secoli futuri? Virtù che mi nuoce è sempre
virtù? Devo praticarla a mio danno? Dove ha scritto la natura le sue
leggi?--Nel cuore? Io sovrappongo la mano al cuore, ma egli palpita al
sussulto delle passioni.--Che serve meditare su la ragione della
necessità? Meglio vale subirla con le mani incrociate sul petto, e starci
a vedere che cosa ne viene. Così farò.
--Dunque sono io tanto sventurato? La mia memoria non può ricordare
nulla che giovi a blandire con le illusioni un'anima lacerata da tante
angoscie reali?--Oh! bello lusinga il regno delle immagini, ma il loro
fascino è come quello del serpente; questo finì col peccato, quelle
finiscono coll'inaridire la mente che a loro si abbandona.--Pure il
giorno che il suo genitore assunse la corona de' Re, ella lasciava cadere
ai miei piedi la grimpa che le cingeva la persona: io la raccolsi.... e
meco trionfò nel torneo.... ed ora mi posa sul cuore, e sarà la compagna
della mia vita, e mi coprirà la faccia nella fossa.--E il giorno del torneo?
O sola luce dei miei anni passati! Oscuro donzello, ricoperto di maglia,
coi colori della figlia di Manfredi, mi confusi tra i superbi Baroni e
capitani famosi, ed osai giovinetto giostrare di lancia co' maestri
dell'arte, con cavalieri incliti per mille prove, e vinsi. Rimaneva il prode
Conte Giordano di Angalone: ci affrontammo; ei cadde rovesciato
sopra la polvere. Egli ne dette la colpa alla cinghia della sella, e sarà,
ma cadde.--Io mi nascosi, egli ebbe il premio della giostra, dacchè il
vero vincitore non si presentava; nè io lo invidiai, chè mi parea avere
più alto premio conseguito che il suo non era,--l'amore della figlia del
Re.--E il giorno veniente? Oh! non dimenticherò mai il giorno
dodicesimo di agosto. Io le guidai il bianco palafreno:--ella in salendo
pose la sua nella mia mano.... e tremò.... ed io pure tremai, ed
arrossii.--Ma ed ella arrossì? Io non osai sollevare gli sguardi. Oh!
quella fu gioia, e.... forse fallace. Chi sa che il velo non cadesse per
caso? Chi mi assicura che il suo tremore non venisse da pericolo di
caduta? o piuttosto da sdegno del mio tanto ardimento? Il sangue svevo
ribolle superbo: ma se orgoglio facesse lignaggio, io pure mi sentirei
sangue di Federigo.--E quando ella inchinandosi dalla sua altezza
m'interrogasse: chi sei?--Chi sono?--Uno ignoto a me stesso, e ad altrui;
un respinto per la colpa materna dal seno dello stesso genitore, un
monumento vivente del peccato, una onta a me, una vergogna ai miei.
O chiunque voi siate che mi donaste una vita che non avrei accettata
giammai, dove si potesse rifiutare di nascere, grandi devono essere stati
i vostri peccati, perchè atroce è la pena che ne porto!»
Così parlava il travagliato, alternando la vicenda del dolore e della
gioia, allorchè la natura lo sovvenne con la stanchezza, e il bisogno del
riposo lo costrinse a sedersi. Le sue labbra presero ad articolare le note
di una mesta ballata, e la mente seguace dell'armonia si deliziò nei
concenti divini, nati e custoditi sotto il cielo d'Italia.--All'anima
confortata si affacciò quindi il suono delle imprese guerresche: egli lo
cominciava leggero leggero: a mano a mano cresceva; finalmente si
sollevò al punto, in che si ode quando il nemico si riversa sull'inimico.
Allora trascorse nei giorni della gloria, sentì l'alito della fama, sorse,
tolse la spada, e nobilmente avvolto nel mantello camminò
nell'orgoglio della mente sollevata fino al pensiero dell'Onnipotente
Distruggitore.
CAPITOLO SECONDO
AMORE.
Pargoletta ella era Tutta sorriso, tutta gioia: ai fiori Parea in mezzo
volar nel più felice Sentiero della vita.--Ecco ad un tratto Di tanta gioia
estinto il raggio, estinto Al primo assalto del dolor. FRANCESCA DA
RIMINI, tragedia.
Perchè una tomba prodigio di marmi peregrini e dell'arte copre le
ceneri di tale, che non si conosce essere stato vivo, tranne pel
monumento della sua morte?--Perchè forme celesti, dilicati contorni,
leggerezza di leggiadrissimo corpo, vestono l'anima della femmina?
Perchè ci dierono un cuore che balza a quelle sembianze, una fibra che
si raccapriccia a questo bellissimo spettacolo della creazione? Nessuno
animale ha potuto contribuire a formare il corpo della femmina. I colori
dell'uccello di paradiso, della farfalla di Casimira, non possono
paragonarsi ai divini che imporporano le guancie della bellezza. La
gazzella non ha l'occhio della donna: le pietre preziose non brillano di
quella luce; e i poeti, per assomigliarli a qualche cosa di convenevole,
hanno dovuto ricorrere al firmamento. Ma nessun rettile, quantunque
schifoso, fu eccettuato dal somministrare parte nella composizione
dell'anima che agita i moti delle sue membra; nessuno, meno lo
scorpione, che
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