circondato dal fuoco volge in sè stesso il dardo velenoso,
e generosamente si uccide. Tu sei bella, o creatura, ma la tua bellezza
porta una impronta tenebrosa; tu nasci figlia di un sublime pensiero, ma
come Lucifero decadesti; i tuoi raggi come quelli del sole che tramonta
feriscono, non consolano la vista; la tua bellezza è il nostro tormento.
Ma andiamo affannosi in traccia di quella innocenza che Eva lasciava
nell'Eden, e questo è il più fiero travaglio del cuor nostro. Ma il tuo
cuore ugualmente fu condannato a spezzarsi per la nostra incostanza.
Forse tu dovresti essere maladetta, perchè la prima a peccare; ma il
serpente abita nelle tue fibre dilicate: la curiosità genera la sapienza, in
te partoriva la colpa.--Tu schiudesti la via dei delitti, noi vi ti abbiamo
superato.... Oh, figli della polvere, non vi maladite, ma abbiate
misericordia tra voi!
Nelle sale del castello capuano vive una creatura divina nelle forme,
divina nell'anima. Ella teneva la faccia adagiata sopra un origliere, e gli
sguardi dimessi: una bellezza maestosa compariva per tutto il suo
aspetto. Molte damigelle le stavano attorno, e tacite tacite facevano
voto che sollevasse gli sguardi, i quali, sollevati, non potevano
sostenere; perchè siffatta luce ne usciva, che svelava un'anima, la quale
non si sarebbe mai creduto avessero potuto reggere quelle sue membra
dilicate. Ella era leggiadra quanto la madre degli uomini, che il divino
Ghiberti effigiava sorgente dalla carne di Adamo, e sorretta dagli
Angioli a riporre in pegno di amore la sua mano nella mano di Dio.
Certo ella non pareva figlia di nozze mortali: forse i connubii dei figli
di Dio, allorchè sentirono amore per le belle figlio di Caino, l'avrebbero
potuta generare, ma lo spirito dell'Eterno non benedisse quei maritaggi,
perchè esse nacquero nel peccato, onde ne vennero i Giganti e
Nembrod il feroce cacciatore al cospetto di Dio.
Invano cercheremmo voci nelle favelle della terra che valessero a
ritrarre quella immagine di beltà: e sarebbe più facile suscitare la luce
dalle tenebre, e dare anima ai figli d'Italia......
Dopo lungo tempo si levò dal suo seggio, e si fece verso il balcone: era
il suo passo leggero, come vento che folleggi tra le rose, o come
incenso che s'innalzi alla Divinità: l'onda delle vesti ventilando
spargeva odorosa fragranza: non mesta, nè lieta; ma nella calma
solenne della considerazione, allorchè il lampo del pensiero balena su
gli avvenimenti dei secoli, allorchè l'orecchio del divino intelletto
intende l'arcana armonia del creato, e il suo occhio finge nel cielo i figli
della sublime immaginazione.
Fattasi al balcone, soprastette a considerare il firmamento, e sospirò;
quindi rivolta alla damigella che le stava al fianco fece suonare una
voce, quale certamente si diffonde quella di Eloa, l'angiolo che canta lo
inno dei cieli innanzi al trono di Jehova.¹
¹ Klopstock, Messiade
«Vedi, Gismonda, come esulta il firmamento! Anche quando la
religione non ce lo avesse insegnato, la mente nostra lo terrebbe per la
dimora di Dio.--Oh! piacesse a lui chiamarmi presto alla sua pace!»
«Nobile Yole, il Signore è sapiente in ogni opera sua; egli solo conosce
il bene e il male; noi dobbiamo aspettare adorando i decreti della sua
giustizia.»
«Guardimi il cielo dal mormorare contro il mio Creatore, ma i voti
dell'afflitta non possono giungere disgrati innanzi al suo trono.»
«Mia dolce donna, sta a voi innalzare a Dio i voti degli afflitti? A voi
figlia del Re Manfredi, sorella della Regina di Arragona, nepote dei
Federighi? A voi sangue della casa di Svevia, posta dalla fortuna nel
più alto grado che mente mortale possa desiderare? La vostra vita si
sprolunga innanzi a voi come sentiero di fiori; i vostri giorni numera il
piacere: voi desio di ogni prode cavaliere; voi sospiro di ogni Trovatore,
voi amore di tutti, non avete a temere le sciagure che travagliano la più
parte della schiatta di Adamo.»
«Pure io sono tale che ormai più nulla mi resta a temere fuorchè l'ira di
Dio.»
«E l'ira sua non verrà; ch'ei tempra i rigori del freddo all'agnello tosato,
e versa il balsamo su le piaghe del doloroso.»
«Gismonda, la nostra casa venne respinta dalla comunione dei fedeli fin
dal Concilio di Lione, dove, malgrado la difesa di Taddeo da Suessa,
Innocenzo scomunicò Federigo. Certo, noi non patiamo difetto degli
ufficii della Chiesa, ma Papa Clemente ha tolto appunto motivo da
questo per confermare l'anatema contro di noi. Egli ha sciolto i vassalli
dal sacramento di fedeltà, e senza questo già troppi ne circondavano
traditori: egli cerca pel mondo un nemico del sangue nostro, e senza
questo erano assai coloro che anelano un trono. La fortuna non ha
concesso che Riccardo di Cornovaglia accettasse la nostra corona
offertagli da tale che non sa acquistarla per sè e la dona altrui; nè che
Edmondo d'Inghilterra abbia potuto muovere le armi contro
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