La Zaffetta | Page 8

Lorenzo Veniero
con fretta Il piovan goffo, gaglioffo e da poco; Poi con una sua dolce predichetta Riconforta Madonna Angiola un poco, Et le fa creder ch'un soverchio amore �� stata la cagion d'un tanto errore.
Havete (disse) voi persa la vita, Per ottanta con gratia chiavature? Hor sete voi la prima in cio fornita? Per tutto 'l mondo son de le sciagure. Ci havete obligo assai, sendone uscita Sana per tutto, benche grosse e dure Siano state le lancie ne la giostra, Eterna gloria �� la Signoria vostra.
L'Angela piange e dice: O sventurata, Come comparirai fra le persone? La mia grandezza in tutto �� ruinata. Son'io da strapazzar con un trentone? Monaca mi vo far per disperata, Ne fin ch'io vivo piu farmi al balcone. Et cio dicendo il corpo le fa motto, Ond'ella ando sospirando al condotto.
Nel render le borsette parse un frate, Che di minestre scaricasse 'l ventre, Et una squadra d'anime non nate Convien che ne la bocca al condotto entre, In mandragole, in rane trasformate, In scorpioni, in tarantole; e mentre Il suo bisogno al condotto facea, L'oglio favale per tutto correa.
Col suspiramus lachrimarum valle Rivestissi levata dal condotto, Pregando il gentilhuom, con basse spalle, Che del trentuno suo non faccia motto. Il da ben sotio il giuramento dalle Che solamente dira che fur otto, Et cosi de fottenti il gran collegio Le fe la gratia, e dielle 'l privilegio.
Poi trovossi una barca da melloni, E piantataci su sua Signoria, Fu menata �� Venetia senza suoni Che l'havrian tratta la meninconia. Rimasti �� Chioggia, quei compagni buoni Scrisser per ogni muro e in ogni via Come l'Angela Zaffa nel trent'uno, �� i sei d'Aprile, habbia havuto 'l trentuno.
Hor la Zaffetta �� giunta in casa, e botta. Subbia, chiama e bestemmia in voci ladre. Di bastonar le massare borbotta, Onde l'aperse la riva sua madre, Et vedendo la figlia mal condotta, Chiama Borrino, suo addottivo padre, Et serrata la riva su le scale, Stramorti la puttana universale.
Posta nel letto, d'aceto rosato Bagnati i polsi, et di fresche acque il viso, Lo spirto mariol l'�� ritornato; Et riguardando la sua madre in viso, Disse: Quel traditor, che m'ha menato A Chioggia, ch'ei sia arso et sia ucciso; Dar m'ha fatto un trentuno il traditore. Mio pare, i vo che gli mangiate 'l core.
Quando la madre l'alza i panni, e vede Il suo quadro, e 'l suo tondo rosso, e rossa, E l'uno e l'altro enfiato, certo crede In fra due hore andarsene in la fossa, Et con gran pianto il suo barbiero chiede, Che venne presto, e sta in dubbio se possa Guarirla o no, ma pur con certa ontione L'unghie 'l seder, e l'unghie 'l pettiglione.
Lo sbisao bestial Borrin feroce, Col pistolese in man, stringendo i denti, In portico spasseggia, e ad alta voce Dice mille: Vo farne mal contenti. Fa su le ditta il segno de la croce, Et su ci giura mille sacramenti Che vuol far diventar sangue il suo rio: Ah! poltron mondo! ah! benedetto Dio!
Gia per Venetia �� 'l trentun divolgato. De la Zaffetta �� pieno ogni bordello, Ne pur' un sol s'�� in la cita trovato Che non esalti chi l'ha dato quello. In fino il buon compagno Gioan Donato, Et Lunardo da Pesar, buono e bello, Han caro ogni suo mal, perch'ella impari Con le soie �� burlar con i suoi pari.
Venner da Chioggia �� Venetia di botto I mastri che punir la volser bene, Et per tutto notar numero otto, Poi ch'ottanta notar non si conviene, Che l'han promesso, e non l'havrebbon rotto Il privilegio ch'ella appresso tiene; Et ciascun che lo legge benedice I mastri �� castigar la meretrice.
La Zaffeta ha serrato ogni balcone. In casa stassi, come fusse morta. Il suo rio non fa piu reputatione. Non aprirla al Prencipe la porta. Non mangia o dorme; e trista in un cantone S'�� post'al scuro, et mai non si conforta; Et quando che di Chioggia si ricorda, Si lascia cader giu come balorda.
I Signor cinque e i capi de i sestieri, �� cui n'ando la querela volando, Ridendo de i carnefici cristeri, Di far l'esecution la van soiando; Onde i terrieri e tutti i forestieri Del bene merto suo vanno parlando, Tal che per tutta Italia ognuno canta Numero otto, id est numero ottanta.
L'Angela stassi peggio che romita In cordoglio, in silentio, sobbria e casta. Passan sei giorni, �� presso che guarita. Altro non dice, co i suspir, che: Basta. Gia la vergogna l'�� di mente uscita. Non sentendosi piu ne i sessi guasta, Piu sfacciata che prima, ladra e ghiotta, In su'l balcon fa la Regina Isotta.
Forse che pensa diventar migliore, Non soiar, non tradire et non rubbare? Forse che pensa al suo perduto honore, Ch'una puttana farla vergognare? Ma pensa piu che mai cavare 'l core �� quelli che
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