La Zaffetta | Page 7

Lorenzo Veniero
scende chi �� Venetia sale, E pur tallhor de le volpi si coglie. Voi rideste di me di carnevale, Quando ch'i havea del vostro amor le doglie: Hor di quaresma io mi rido di voi, Et cosi pare il gioco va fra noi.
Ah! crudele, ah! ingrato, ove, ove sono Le berte date �� me, quando volevi L'arrosto, che parendoti ognhor buono: Dammelo, cara mammina, dicevi? Signor mio caro, io vi chieggio perdono, Et se mi concedete ch'io mi levi Questo trentun dadosso, che m'accora, Vi saro sempre schiava e servitora.
Rispose il gentilhuom da lei tradito: Adesso vien ampia commissione, C'havra il voto vostro esaudito. State col cor contrito in oratione. In questo, un c'havea, com'un romito, La conscientia senza discretione, Da traditor, da turco e da giudeo, L'apri con la sua chiave il culiseo.
Con il carbon stava un, segnando al muro Tutte le botte ch'eran date �� lei; Et quando �� lei sei volte giunte furo, Grido colui ad alta voce: E sei. Vien via un'hortolan dal pinco duro, Dicendo: Tu la mia speranza sei; Et senz'altro prohemio compi presto La sua facenda, fatta in luogho honesto.
E sette, gli dicea quel dal carbone. Ispacciatevi, giovani, c'ho fretta. Tocca la volta �� un fante poltrone, Non uso �� mangiar carne di capretta. Costui adosso in modo se le pone, Che vomitar fece �� la poveretta Quel ch'ella 'l di mangio, poi cheto cheto Le pianto il suo ravano di drieto.
Numero otto gia nel muro appare. Ma qui ne vien il buon, comincia adesso, De la comedia il secondo atto appare. Esce in campo un fachin soffiando spesso, Che vuole un porro di dietro piantare �� colei, ch'ogni cosa �� sacco ha messo, Et senti tal dolceza il buon compagno, C'hebbe �� morir sul buco, come 'l ragno.
Levato in pie fece un salto da matto: Berghem, berghem, gridando �� la fachina. Par proprio un gallo c'ha fatto quel fatto �� la sua bella morosa gallina, Che, smontato ch'egli ��, scuotesi un tratto, Canta una volta, et �� beccar camina: Cosi 'l fachin, de lo sborrar satollo, A legar ritorno non so che collo.
La Signora fottuta �� capo basso Piangeva ad alta voce si dolente, C'havrebbe humiliato un Sathanasso, E un bulo in bizzaria fatto clemente. Dicea: Deh! perche 'l petto hor non mi passo, Acio i non senta cianciar fra la gente, A San Marco, �� i Frari, e da ciascuno, Ch'io degnamente habbia havuto 'l trentuno?
Hor sera pur contenta questa e quella, Invidiosa di mia buona sorte. Come 'l Venier lo sa, fara novella, Perch'aprir non gli volsi un di le porte. Gia ogni barcaruol di me favella, Et parmi udir da i putti gridar forte, Sul ponte di Rialto, a cio s'intenda: Chi vol de la Zaffetta la leggenda?
Le lamentation di Geremia Volea seguir, quando giunser due frati, Dicendo: Chi �� quello? Ave Maria, Vogliam, Signora, de vostri peccati Fornir di confessarvi, a ci�� non sia L'anima vostra scritta fra i dannati. Et l'uno et l'altro �� la Zaffa divotta Cacciar dietro e dinanzi una carotta.
Ma che vad'io contando ad uno ad uno? Eccoti che sforzata �� pur la porta. Chioggia �� venuta �� furore, �� communo, Per haver la sua parte de la torta. �� fatto gia mescolanza d'ogniuno. Ciascuno di chiavarla si conforta, Et dadosso se l'�� tolto uno a pena, Che l'altro �� corso �� farla trar di schena.
Havete visto la dal Vener Santo, Quando ch'ogni plebeo vuol confessarsi, Stare la turba su l'ali da canto, Ch'al confessor, come puo, vol lanciarsi: Cosi, mentre l'un chiava, l'altro intanto Sta desto, et vuol con la diva attaccarsi. Son sempre cinque o sei c'hanno 'l pie mosso, Ch'ognun prima vorria salirle adosso.
Colui che col carbon segna le botte, Si presto che segnar le puo �� fatica, Sendo passata piu che mezza notte, Disse: Brigata, e convien pur ch'io 'l dica: Settanta nove lancie havete rotte Contra la vostra gagliarda nimica, Si che una botta sola �� far ci resta, Et poi �� Dio, che finita �� la festa.
L'ultima volta far volse un piovano, Ch'in chiavar monasteri ognialtro passa, Il qual fessi menar suo cane �� mano, Poi la rivescia sopra d'una cassa, Et glie lo mette in la vulva e ne l'ano; Et stringendo 'l poltron la testa abbassa, Perche 'l fetore ammorba il can gentile De l'oglio humano et de l'onto sottile.
Un miro d'oglio e di buttiro havea In corpo la Zaffeta a pena viva, Il qual di dietro e dinanzi piovea Su i calcagni e su i piei con foggia schiva. Onde 'l piovan per lo suo can chiedea Di quelle carezzine con che priva Sua Signoria i suoi morosi cari Di cervello, d'honore e di dinari.
Ma perche 'l giorno ne vien �� staffetta, Il gentilhuom che l'annontio 'l bel gioco In camera entra, et via caccia
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