La Zaffetta | Page 9

Lorenzo Veniero
la corron'�� adorare, Et per una vestura in nuova foggia, Vol far la pace col trentun da Chioggia.
Io non mai ho parlato �� la Zaffetta, Et l'havea per Signora alta e divina. Ma 'l conte Urluro in ca di Vienna, letta M'ha la ribalda sua vita assassina, Ond'io tengo piu buona et piu perfetta La mia Errante Helena Ballarina; Et se l'Errante �� da ben piu di lei, Iddio Cupido, miserere mei.
Hor le puttane, c'han l'arlasso inteso, Si risseraron sbigottite tutte, Fra lor pensando s'han qualch'uno offeso, Che caccan di mangiar di quelle frutte; Et s'un cento ducati havesse speso, Non mai di casa fuor l'havria condutte; Ne �� Lio, ne �� la Zuecca, o in barca vanno, Tanta paura di quel trentun'hanno.
Ma Dio volesse, puttane mie care, Che l'esempio di lei vi fosse in core, Che saria cosa santa il puttanare, Et ci s'acquistaria spasso et honore. Se, quando un gentilhuom vi vol chiavare, De la Zaffa pensaste al dishonore, Dicendo voi di si l'osservereste, Et le vie d'ingrandirsi sarian queste.
S'un che v'ama, superbe cortigiane, Trovasse in voi punto di cortesia, Discretion ne la bocca et ne le mane, Et stimare colui che vi disia, Con dir il vero anchuo, come domane, Et non follate e soie tutta via, Senz'essergli ricchiesto, ei vi darebbe L'anima e 'l core, e poco gli parrebbe.
Saria pur gran piacere �� dir': Io amo Una donna ch'accetto ha'l mio servire, La qual vien sempre �� me quand'io la chiamo, Ne mi vol ingannar ne far fallire, Et senza lite ognihor d'accordo siamo. S'io le do, piglia, et non ardisce �� dire: Dammi, fammi, se non ti faccio e dico, Ne �� la taglia mi pon, come nimico.
Saria ben spilorcio e ben furfante, Un che la sua morosa ognihor chiavasse, E 'l suo bisogno vedendol' inante, Come la vita sua non l'aiutasse. Ma gli�� 'l bordel quest'esser vostro amante, Et credo, se 'l thesoro un di v'amasse, Fallirebbe de l'altro, com'ha fatto Per girvi dietro al cul questo e quel matto.
Un giunge in casa de la sua Signora, Et giunto �� pena, vien via la massara Pe i soldi, pel savon; poi esce fuora La madre, che par proprio il cento para; E tanto soia te la traditora, Ch'uscir bisogna di natura avara. Eccoti adosso al fin la Diva corsa, Che bascia te, per basciar poi la borsa.
Cuor mio, pare mio, vecchietto mio, Se mi vuoi ben, comprami trenta braccia Di raso, o d'ormesin, c'hoggi 'l vogli' io. Ti bascia gliocchi, la bocca e la faccia, Tal che vi scapperia Domenedio; Ne giova �� te che tu 'l cattivo faccia, Perche 'l cotal, che ti si rizza, vole Che le paghi co i fatti le parole.
Et mentre ti svaleggia e �� sacco mette: Vien (dice) �� dormir meco, e verrai presto; Et per la propria sera ti promette; Et tu, coglion, corri �� mandarle il cesto. Compri in persona mille novellette, Che ti par che 'l tuo honor ricchieda questo, Et quel c'hai tu comprato, un'altro cena: Tu stai di fuor, rodendo la catena.
Spassegiato quattr'hore pien di stizza, Tosto corri �� vestirti �� la foresta. Esci di casa, et vuoi la slandra chizza Scannar, brusciar, con ira et con tempesta. Intanto il tabernacol ti si rizza, Et �� subbiar torni, et fai la voce mesta. La massara al balcon dice: Messere, State un poco, e lasciatevi vedere.
In questo mezzo il martel, che lavora, T'apre la borsa, et volano i presenti, E al fin resti �� dormir con la Signora, Che ti squinterna mille sacramenti Che non puote cenar con teco allhora; Et tu dici fra te: Porca, tu menti. Se Christo vuol ch'io mi snamori mai, Com'un'huom s'assassina vederai.
La mattina ti lievi et mandi il fante Per la tua vesta, et lasci in casa �� lei Da stravestir i drappi, e la furfante Rubba ogni cosa con mani e co i piei. Mandi per essi, et datti lunghe tante, Che bestemiando e ringratiando i Dei, �� forza che mai piu non glie le chieggia, Ma che de gli altri ti faccia et proveggia.
Una scuffia che lasci de la notte Piu non si vede et piu non si ritrova. Una camiscia tua de le piu rotte Ti toglie, come fusse bella e nova. Et per Dio! che ne i boschi et ne le grotte Dove che i malandrin fanno lor prova, Con l'oro in man con piu sicurta vassi, Che fra queste puttane, ohime! non fassi.
Al fin gliarlassi et i danar mancati, Et il tempo perduto e 'l dishonore, E 'l viver sempre mai da disperati, La ragion, l'ira, e 'l dispetto, e 'l dolore, Con quel rancor che si sfratano i frati, Esci di man del vil asino Amore, Et la mente spezzata fatta sana, Corri �� furor contra la tua puttana.
Le togli cariuol, casse,
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