La Zaffetta | Page 5

Lorenzo Veniero
Portando allegra l'angelica chizza, Che fea col suo moroso un gran contrasto
Per voler gir, come sposa, sul trasto.
Come fu giunta questa meretrice À Malamocco in gran reputatione, Vezzosamente
soghignando dice: Ecci, ben mio, da far collatione? Et veggendo fumar una pernice,
Quella grappò e inghiotti in un boccone, E in men che non si dice Ave Maria, Traccano
gotti sei di malvagia.
Buon pro, Madonna, dice la brigata; Et ella ride e gliamorosi soia, Et con quella sua
gratia disgratiata Petegolando, sempre ha in bocca moia; E à questo e à quello ha la barba
tirata, Per favorirli, e con spiacevol noia Conta le sue grandezze, et narra come Di
Zaffetta acquisto con l'opre il nome.
E facendole buon cio ch'ella parla, In gondola torno la compagnia. La cicalaccia
riscaldata ciarla Pur de le sue grandezze tutta via. In tanto à Chioggia comincio aviarla La
barca instrutta à quel ch'a far havia. Ell'attende al suo dire, e vol trovare, Fra duo di, una
casa da suo pare.
Voglio, dicea la gloriosa alfana, Che voi morosi mi facciate havere Per sempre à fitto la
ca Loredana, Se non mi moriro di dispiacere. Poi comincio à cantar una pavana, Che gia
la casa le parea godere. Vol comprare spalliere e razzi eletti; Vol far di seta e d'or cinque
o sei letti.

Poi entra à dir di certi caveoni, O capo fuochi, che dica 'l Petrarca. Gli vuol d'argento, che
sian belli e buoni. Vol sei massare, un ragazzo, una barca. Vol de contadi le sue
provigioni, In canua vin, sempre farina in l'arca, E al fin vol tante cose la Borrina, Che
non n'hebbe mai tante una Regina.
Con questi suoi giardin, fatti à sua foggia, Confermati dal suo sagace amante, Si ritrovo
sua maestade à Chioggia, Et sbigotti quando l'apparse inante, Dicendo: Mia persona non
alloggia Sta sera qui: va, barcaruolo, avante; Gira, poltron (diss'ella); et piange e arrabbia,
Ma patientia è pur forza al fin ch'ell'habbia.
Anima mia, speranza, figlia mia, Caro sangue, ben mio, dolce mia vita, Dicea il suo
moroso in voce pia, Da me non fate sta sera partita. Cio ch'i ho, Angioletta, vostro sia;
Con voi la robba mia non è partita. Chiedete pur, non habbiate vergogna, Che chi per voi
brama di far non sogna.
Non puote allhor tenersi la puttana Di non ghignar, mentre facea cordoglio, Quando senti
la proferta che spiana Di darle il tutto, et disse presto: I voglio Di restagno et veluto una
sottana, Di quelle ch'à le feste portar soglio. Voglio una scuffia d'oro, e vo domane I
vostri Pater nostri d'ambracane.
La sottana, la scuffia, e i Pater nostri, L'Ave Marie, i Salmi et l'Orationi Havrete, figlia,
pur c'hora si mostri Il vostro cor privo d'afflittioni, Rispose il gentil'huom: non de i par
vostri Amorosi di fava, Ser coglioni, Che da le puttanaccie sopportate Con mille villanie
le bastonate.
Hor ella smonta, e non s'accorge havere Dietro una barca, di fottenti piena. Corre la turba
à furor per vedere La famosa Zaffetta d'error piena, Ch'indosso porta un mezzo
profumiere. Parla da nimpha, e 'l passo move à pena. Hora su questo, hora su quel
s'appoggia, Et vol parer l'Imperatrice à Chioggia.
Il suo amante, che se ne traggea, Per farla andar piu di se stessa altera, Con voce da stupir
pian le dicea: Voi sete di bellezza una lumiera. Hor fosse adesso qui Venere Dea, Che
vedria 'l mondo chi ha miglior ciera; Poi soggionge: Madonna, un de vostri atti Questi
Chioggiotti fa diventar matti.
Con queste soie e berte profumate, Entraro i sotii, con sua Signoria, Dov'eran le vivande
apparecchiate, Com'à gran gentilhuom si convenia; Et havendosi ognun le man lavate, À
cena se n'entro la compagnia, E in capo di tavola s'assetta La puttana Illustrissima
Zaffeta.
Silentio à mensa, quando l'odor vola De gliarrosti per tutto; ella si tace. Con piene mani,
piena bocca e gola Sol dice: Questo è buon, questo mi piace; Et chi l'havesse chiesta altra
parola, Non era per haver seco mai pace. Mangia e bee senza freno, anzi divora, Et buon
per me, ch'era à Venetia allhora.
Venner l'ostreghe al fin, che tante e tante Ne mangiò su' altezza, che ciascuno Grido
misericordia, e haveva inante Le scorze, che l'apri tutto 'l communo. Ma che ciancie
cont'io? Suo largo amante, Ch'ordinato ha l'historia del trentuno, Piglia per man l'Angiola

per diletto Dicendo: Sangue mio, andiamo al letto.
Andiam, rispose, con un'occhio chiuso E l'altro aperto, l'Angela divina, Ch'addormentata
nel letto entro giuso, Non sapendo se gliè sera o mattina. Quel giovine gentil, che non er'
uso, Esser soiato da una fachina, Anch'egli in un balen fassi spogliare, Che vendicar si
vuol, non vol chiavare.
Pur trovandosi ritta la ventura Disse 'l Boccaccio, essendo buon fottente Havendogli ella
volto per sciagura Il
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