La Zaffetta | Page 6

Lorenzo Veniero
volto del seder solennemente, Ruppe due lancie, ciascuna piu dura,
Poi al suo inanzi piu che mai valente Per dispreggio di lei venne, à la volta, Et le fe quel
servigio un'altra volta.
Quella musica dolce in tuono grave, In tenore, in soprano e in contrabasso, Che l'havea
messo dirietro la chiave Nel suo B molle accettò per ispasso Cacciato il sonno da la
Signor' have, Per cui sentia tutto 'l suo corpo lasso, E rivolta à l'amico disse: Dammi,
Speranza, un bascio, e quella cosa fammi.
Ei, c'ha preso la volpe et hormai vole De le malitie sue punirla presto, Rispose: Il corpo
mi s'è mosso e dole, Anima mia, hor che vorra dir questo? E del letto esci, e senza piu
parole E 'l lume piglia, et va ratto, e par mesto. Come la turba, che l'aspetta, il vide, Da
compagnona smasselando ride.
Dopo le risa, si conchiude ch'uno Gentil giovane vada à principiare Il meritato honorevol
trentuno, Col qual s'ha la Zaffeta à disgradare. Hora 'l buon sotio senza indugio alcuno In
camera entra, e comincia à cantare Con il Priapo in man sodo in un punto Questa canzone
allegro in contrapunto:
La vedovella, quando dorme sola, Lamentarsi di me non ha ragione... Quand'ode il suono
d'una tal parola La traditrice di tante persone, Che piu fuggir non puo, s'ella non vola, Ne
i capelli et negliocchi le man pone, Che ben s'accorge che 'l trentun vien via, Per castigar
la sua poltronaria.
Eccoti il sotio, c'ha in mano un ferale, Che vol veder pur la Zaffetta in viso, Visto ch'ei
l'ha, con bel parlar morale Disse: Signora, i vengo à darvi aviso Come sta notte un
trentuno reale Quel che v'adora vuol darvi improviso; Et pregha, se non è qual meritate,
Ch'accettando 'l buon cor gli perdoniate.
Quand'ella sente la festa annontiarse, Al minacciar zaffesco à un tratto corre, Et vol del
sangue di colui satiarse Che la verginita l'ardiva à torre. Con puttanesco pianto à
humiliarse Comincia poi, perch'è savia, e discorre Che 'l gentilhuom secondo del trentuno
Chiavato ha dietro Borrino et ognuno.
Dicea la Zaffa borse à una Signora, Ch'in Vinegia ciascun la prima tiene, Ch'è fanciullina
e 'l latte ha in bocca anchora, À dar questo trentun non fassi bene. Deh Dio! ah Dio!
volete voi ch'io mora, Magnifico Messer dolce e da bene? Se sta notte salvate l'honor
nostro, Questo dritto e riverso è tutto vostro.
E duo sessi squinterna, in cui le frappe D'alcun che l'ama ogni vertu colloca. Ma 'l trenton,

che le tocca e coscie e chiappe, Disse ch'ell'ha carne di grua e d'oca, Riccamata di brozze,
come cappe, E negre, e schiffe in morbidezza poca. Non puzza, no, perche caccia i fetori
De la bocca et de i piei con mille odori.
Il giovin nontio del trentun gentile, Ch'à la libera vive per natura, La conforta à far animo
virile, Tal che la Zaffa stringhe, entra in bravura, Et chiama un'atto di persona vile Chi
vendetta di far con donne cura; Ond'ei, ch'entreria in colera con Dio, Disse: Voltati in la,
potta di Dio.
Voltassi in la col capo humile e basso Sua Signoria, et ei, drizzato 'l stocco, Dietro à la
porta glie 'l messe per spasso, Non da lussuria, ma da un grizzol tocco. E qui è, Signor, da
notar un bel passo, Per cui à Chioggia invidia ha Malamocco. Non so s'è me' tacerlo o
meglio dirlo, Ma serri gliocchi chi non vuole udirlo.
Lo stocco di quel giovane ch'io dico, Essendo duro, parea proprio un sasso; L'ostreghe
che 'nghiotti la Zaffa amico Andando vive pel suo corpo à spasso, A quello s'aggrappar
con forte intrico. Sentendo questo il gentil'huomo, un passo Tirossi in dietro; e 'l stocco
dischiavato, D'ostreghe 'l vide tutto riccamato.
Et cosi, com'egli era, uscendo fuora, Il miracolo à i sotii mostro chiaro. Le risa che di cio
fur fatte allhora, Non ve le contarebbe un calendaro; E mentre le reliquie la Signora
Tenea scoperte, e facea pianto amaro, Eccoti un pescator pazzo e bestiale, Ch'un mezzo
braccio ha lungo il pastorale.
Et senza dir: Cor mio, ne dar conforto, À lei s'aventa e la gran lancia arresta, E con un
guardo villanesco e torto Le coscie l'apre, et incartolla à sesta. Grido la Zaffa: Matti, tu
m'hai morto; E su la sponda inchinando la testa, Stette tanto in angoscia et in dolore, Che
venne un'altro in cambio al pescatore.
Questo quarto à chiavarla parse à lei Pur pescator, ma di natura pia, E 'nginocchioni
lanciosegli à i piei, Dicendo: Huomo da ben, chi tu ti sia, Se mi scampi di man de i farisei,
Facendomi fuggir per qualche via, Queste gioie et catene vo donarti, Et diece e venti
volte contentarti.
Non voglio gioie, non voglio catene: Vo fotter, disse
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 22
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.