La Principessa | Page 5

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l'idea di salire da sua figlia.
Ma a un tratto le imposte delle finestre della camera furono chiuse.

II.

Chi avesse in quel punto visto Enrica si sarebbe sbigottito.
I capelli disciolti le ricadevano sin quasi al ginocchio, le vesti in
disordine; la fisonomia piena di terrore, le labbra schiumanti, le guancie,
di pallidissime, divenute livide, le occhiaie infossate, gli occhi iniettati
di sangue.
Di tratto in tratto le sfuggiva un gesto di collera.
Quando furono chiuse le imposte, ella sedette, il gomito nudo
appoggiato sul velluto celeste di una piccola scrivania d'ebano.
--Dunque ti ha parlato?--disse con angoscia suprema, guardando negli
occhi Cristina che stava ritta innanzi a lei.
La cameriera rispose di sì con un cenno.
--Ed è risoluto vedermi ad ogni modo?...
--Ad ogni modo!--replicò Cristina.
Tutt'e due parlavano sotto voce, agitate, come in preda a un grande
spavento.
--E quando e tornato?...
--Stamani....
--Il suo bastimento non faceva rotta per le Indie?
--Il bastimento si è incendiato in mezzo a una tempesta..... Egli ha
salvato, dopo morto il comandante, alcuni dell'equipaggio: non mi ha
detto in particolare ciò che ha fatto, ma mi ha mostrato, sul suo
uniforme, i galloni. È già graduato....
--Ha, dunque, mantenuto la sua promessa!...
--E domani sarà qui!--osservò Cristina.

--Ecco ciò che mi dispera.... Io non avrò mai il coraggio di confessar
tutto a mio padre.....
--Il giovinotto,--esclamò a un tratto risoluta e cupa Cristina,--non deve
saper nulla della creatura....
--Costei non sa,--pensava Enrica, infiggendosi le ugne nelle carni, che
le spicciavano sangue,--ch'io già sono la sposa... la sposa del figlio di
Francesco Jannacone!...
Offriamo qualche spiegazione al lettore.
Come abbiam detto, Enrica aveva sempre goduto d'una grande libertà.
Era cresciuta forte, prosperosa, in mezzo ai campi; di sangue ardente,
dispotica e sensuale, non tollerando opposizione a' suoi capricci, e
nessuno pensava a stornarli, anzi tutti vi si piegavano.
La compagnia della perfida Cristina aveva fatto il resto.
Il duca aveva un quattrocento persone e più nella sua famiglia colonica:
Enrica andava a ogni ora per i vasti possessi.
La ragazza entrava nelle case, all'improvviso; appariva non desiderata,
maligna, ne' luoghi più remoti ove gl'innamorati si davano convegno; i
discorsi e gli esempi di Cristina, che essa avea trovato un giorno senza
vesti in una delle stanze più sfarzose del castello, con la guardia del
parco; un vero gigante, ammirato da tutte le belle de' dintorni; i trastulli
de' garzoni, delle forosette, che avea spesso sorpresi, le intimità, sulle
quali aveva voluto mettere l'occhio nelle case, ne avevano infiammato
l'immaginazione, e l'avevano resa precocemente desiderosa di piacere.
Essa era già sviluppata di forme; il seno mostrava appetitosi turgori: il
fianco rilevato, la gamba straordinariamente massiccia, che tutti
vedevano, poichè passeggiava allora per la campagna in guarnellino
corto: le braccia erano rotonde, bianche, marmoree.
Un bellissimo giovinetto, biondo, robusto, di aspetto gentile, figlio di

un contadino del duca, veniva spesso al castello per servigi, o a recar
doni.
Era alto della persona, di larghe spalle, occhi vivi, naso aquilino, e
mirabile nella proporzione delle sue forme. Aveva poi una certa grazia
innata: spirava la tranquillità, la gioia, la forza.
Il collo nudo, il petto nudo, le gambe quasi nude, era bello a vedersi
come una statua: come un Apollo o un Antinoo.
Cristina, non sappiamo con quale pretesto, lo aveva tratto nelle stanze
della padrona, mentre essa un giorno correva i campi, e s'era trattenuta
con lui.
Più tardi Roberto Jannacone riusciva a confabulare con Enrica. Essa
incominciò a vederlo volentieri, a scherzarci, a incrudelire verso di lui:
il suo modo di dimostrare affetto agli esseri che prediligeva.
Talvolta, selvaggia com'era, gli dava uno schiaffo sonoro; con una
frustata gli aveva fatto un grosso sberleffo sul viso: un giorno gli aveva
fatto di toccare un ferro, che ella aveva tenuto al fuoco lungo tempo, e
Roberto ne fu per varii giorni ammalato.
Egli sopportava; aveva un suo disegno: quella ragazza appariscente gli
metteva addosso ben altro fuoco che i ferri arroventati.
Cristina non vedeva di mal occhio che la padrona si dilettasse della
compagnia di Jannacone, per farlo disperare, tormentarlo in ogni modo.
Ella aveva così più il destro di veder il bel giovane, che, sottile politico,
sebben altri avesse potuto averlo in concetto di rozzo, la secondava nel
suo talento, e lasciava soddisfatta quella donna provetta, sapiente in
certe arti.
Cristina sapeva che Enrica, orgogliosa, fastosa, disprezzava il giovane.
Enrica aveva preso con esso una insolita familiarità. Aveva inventato
per lui una nuova maniera di torture.

Si faceva or vedere da Roberto negli atteggiamenti più provocanti; se
gli mostrava discinta, le sue forme robuste in parte scoperte; bene
inteso, sempre quando v'erano persone vicino, che potessero accorrere
in suo aiuto; gli mostrava di trattarlo come un bruto, come un uomo
senza considerazione.
L'altro s'invasava di tutta quella bellezza; accanto a Enrica si sentiva in
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