un'atmosfera di grandi ardori.
Pensava, nella sua astuzia di contadino, che un giorno la sua forza
avrebbe vittoria: e sarebbe si grato un trionfo, dopo tanti oltraggi, tante
ripulse, tante ignominie.
Il giorno venne.
Enrica correva sola, una domenica, poco innanzi il crepuscolo, fra le
alte erbe.... Non s'era accorta che qualcuno la seguiva da un pezzo. Due
braccia di ferro l'avvinghiarono. Vi fu una lotta disperata. Enrica si
difendeva con morsi, coi pugni, con le unghie, con uno stile, che aveva
fra i capelli, infliggendo ferite nel braccio di Jannacone, che spargeva
sangue. Ma costui sapeva quel che voleva, e lo voleva. Teneva una
mano sulle labbra di Enrica e quasi la soffocava perchè non gridasse:
fiero, risoluto, cercava di vincere ogni ostacolo.
Uscivano a sera di là.
Nel separarsi, Enrica, si gettava al collo del giovane, e gli dava due baci
sulla fronte.
Quella passione ruggì per oltre un mese.
Enrica era delirante.
I suoi sensi eccitati, la triste educazione, la malvagità precoce non
davan luogo alla riflessione.
Un bel giorno con Roberto Jannacone si recarono dal parroco, un
vecchissimo prete, stretto da' bisogni, sempre perplesso su ciò che
dovea fare, timido, anzi pauroso, infermo, e gli dichiararono voler
essere marito e moglie. Enrica presentava, come dono alla chiesa, molti
ducati d'oro.
Il parroco, secondo l'uso de' tempi, previe certe formalità, univa in
matrimonio segreto la duchessa Enrica e il figlio del contadino Ciccillo
Jannacone.
Roberto fece subito a Enrica una promessa: rendersi degno di lei, prima
che il loro matrimonio fosse palese; prima che essa ne parlasse al duca.
A Enrica tutto allora sembrava facile, anche il parlare a suo padre,
appena fosse tornato.
Già apparivano le conseguenze della funesta passione, ch'ella non
palesava ad alcuno, ma l'atterrivano.
Roberto si arruolava nella marina e partiva, tre settimane dopo il loro
segreto matrimonio, per lunghi viaggi.
Cristina nulla seppe di questo matrimonio; combinato con ogni cautela,
fra un prete debole e due giovani esaltati, e il cui atto rimase iscritto
solennemente nell'archivio della parrocchia.
Enrica, per un pezzo, ricordò, con profonda commozione, la semplice
scena di questo matrimonio: la chiesetta disadorna, il prete, tutto
conturbato e pur compiacente, che mormorava con un peculiare accento
le parole del rito; essa che stringeva convulsa la mano di Roberto.
E Roberto le metteva in dito un anello che ella stessa gli aveva dato.
Pochi giorni dopo la partenza del giovane, Enrica era tornata alla sua
fierezza, al suo più schietto egoismo.
Provava un immenso, invincibil disgusto di ciò che avea fatto:
inorridiva del legame, onde s'era unita a un uomo sì basso: arrivava
persino, nell'orrore che le ispirava quanto era accaduto, ad augurarsi
che a Roberto incontrasse qualche mala ventura: non tornasse più.
Nel giovane, invece, l'assenza raddoppiava, ingagliardiva l'amore.
Egli si faceva istruire da' suoi superiori: cercava prender in esempio i
migliori: ne imitava i modi: affinava il suo parlare: imparava, in pochi
mesi, a leggere e scrivere: il comandante della nave lo faceva suo
segretario, lo prediligeva molto.
Nelle lunghe giornate di bonaccia, nelle notti tranquille, o fra lo
scatenarsi delle tempeste, egli pensava sempre ad Enrica: a lei soleva
riportare ogni sua azione: s'ispirava all'affezione per lei: sapea ripetersi
quasi ogni parola che essa gli avea detto nella lunga loro dimestichezza:
la rivedeva in tutti i suoi atteggiamenti capricciosi, in tutta la sua
florida bellezza: l'amava, l'adorava, la vezzeggiava: la fantasia, come
accade, gliela metteva innanzi più perfetta ch'ella non fosse.
Non potendo parlare ad altri, sempre pensava, sognava di Enrica.
Aguzzava, affuocava ogni giorno la sua passione. Se un dubbio lo
pungeva che altri potesse torgli la donna ch'egli amava, insidiargli il
possesso di lei, quell'uomo robusto, indomito, di sbrigliate passioni, si
sentiva rimescolare il sangue, gli pareva che una nube rossastra gli
oscillasse dinanzi agli occhi, il cuore gli dava che sarebbe stato capace
di tutto, anche di un delitto e di più che un delitto.
Ma quanta era la veemenza dell'amore da un lato, tanta era dall'altro la
forza del disgusto.
Enrica ormai odiava Roberto: aveva paura del giorno in cui egli sarebbe
tornato a rammemorarle la sua promessa: e cercava persuadersi che un
tal giorno non sarebbe venuto mai.
Aveva dovuto confidarsi con Cristina dell'amore pel giovane, delle
conseguenze della passione.
Cristina s'era detta in modo preciso:
--Un segreto come questo mi gioverà, mi arricchirà di sicuro!
Ella si preparava a sfruttar Enrica in tutte le condizioni della sua vita.
La sapeva generosa, prodiga del denaro pe' suoi fini: in piaceri, se non
in opere buone: stava sicura di poterla liberare dal figliuolo del
contadino, ch'ella stessa ormai, con singolare ingratitudine (o donne!),
non avrebbe più voluto vedere: la immaginava sposa di un gran signore,
riputata, stimata, invidiata da tutti: ma ella sempre sarebbe comparsa a
turbar le sue gioie, a esigere da lei nuovi sagrifici, a
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