debolezze e mal condotti imbrogli,
caratteracci
arditi, e truffe e baci,
e tradimenti ai mariti e alle mogli;
poi sermon
lunghi per porre i ripari.
Ma il vizio alletta e la predica stanca,
onde
il mal cresce e il buon costume manca.
70
Questa pace, quest'ozio, questa vita
del costume novel, Dio non lo
voglia,
oltre che l'alma andar fará smarrita,
vi trarrá de' gran mali
entro la soglia.--
E novera i perigli sulle dita
Orlando, e povertá,
vergogna e doglia
e mille tristi effetti e conseguenze;
ma tenta
invan purgare le coscienze.
71
Né poté vincer altro il sir d'Anglante
che da Aldabella essere ubbidito:
non volle mai che servente od amante
se le accostasse a farle
l'erudito.
Ella ch'era una dama delle sante,
di quelle ch'appelliam
«tutte marito»,
a' suoi voleri abbassava la fronte,
e cita in tutti i suoi
discorsi il conte.
72
Ma l'amor coniugale e l'obbedire
della contessa verso il suo consorte
erano cose che facean languire
l'immensa schiera delle dotte e
accorte.
Bisbigliar basso si sentien, e dire:
--Ecco la scempia,--se
veniva a corte.
Era la dama grave e timorata
una «bella senz'anima»
chiamata.
73
Questo detto comun, che andava in giro:
--Bella è tale, ma l'anima le
manca,--
avea posto un furore, un capogiro
nel sesso femminil, che
a dritta e a manca
s'udiva:--Ferma, o pel mantel ti tiro;
vedi s'io son
senz'anima e son franca.--
La cieca ambizione aveva fatte
donne
infinite ed animate e matte.
74
Tutto era smania e senso animalesco
in tutte le stagion senza riparo;
erano sempre in moto al caldo e al fresco
i corpi e il vuoto di
Lucrezio Caro.
Non v'era distinzion dal fico al pesco;
l'esser ognor
giuvenca, ognor somaro;
e l'imitare i piú bestiali ed empi
era detto
«aver l'anima» in que' tempi.
75
Si vedean per le vie donne appassite,
livide sotto agli occhi e
diroccate,
con certi maschi a' fianchi, olmo alla vite,
che avean le
guancie vizze ma lisciate.
E vecchi in gala e vecchie inviperite,
con
nastri e piume e fiori e imbellettate,
l'essenze, i diavolon, l'odor di
fogna
confondevano, e d'arca e di carogna.
76
E perché ad Aldabella virtuosa
non si poteva apporre alcun peccato,
ed era rispettata e gloriosa,
per la via d'un contegno misurato,
la
schiera delle matte invidiosa
aveva il gran delitto in lei trovato,
cioè
che dicea mal delle sfrenate:
--_Ergo_ non è--dicea--tra le beate.--
77
Il modo del pensar ridotto a tale
era, e guasta e corrotta sí la gente
che non si potea dir piú mal del male,
senz'esser giudicato maldicente
e seccator misantropo bestiale
da punir colla sferza onnipossente,
0. per lo men da chiudere in prigione a far co' topi e i cimici il Catone.
78
De' guidaleschi fracidi d'allora
io non vi do di cento una misura;
pur
d'ogni bocca stretta uscivan fuora
queste parole:--Buon gusto e
coltura,
delicatezza e buon senso c'infiora,
e veri lumi ed eleganza
pura.--
S'un dicea «sterco» per inavvertenza,
gridavano:--Che porco!
che indecenza!--
79
Io v'ho data un'idea cosí all'ingrosso
di Carlo, di Parigi e della corte.
Dopo queste premesse a la fin posso
condurvi di Marfisa in sulle
porte.
Se alcun pedante mi venisse addosso
a dirmi:--Tu potevi ir
per le corte,--
dico di no, perché le cose in pria
convien
apparecchiar. Pedante, via!
80
Anzi a te dico, pedante insolente:
della nostra Marfisa il naturale
io
vo' tacer sino al canto seguente,
benché paia la cosa vada male,
ché
non ho detto de' fatti niente
nel primo canto, ch'è sol liberale
d'umori e di caratteri cambiati,
e mi saranno i difetti addossati.
81
Ma ragion fate, il primo canto sia
una commedia di caratter nuova,
che andate poi lodando per la via,
bench'altro in essa alfin non ci si
trova
che di caratteracci una genia,
e vi tien per tre ore e nulla prova;
poscia a richiesta universal si chiama.
Diman gran cose dirò della
dama.
FINE DEL CANTO PRIMO
CANTO SECONDO
ARGOMENTO.
La riformata bizzarria dirassi,
il costume e lo stato di Marfisa.
La
circostanza e dissensione udrassi
della famiglia di Rugger di Risa;
di Filinor guascone i strani passi,
gli scrocchi e il vizio, il qual
l'acconcia in guisa
che parte di Guascogna derelitto
verso Parigi a
procurarsi il vitto.
1
Io mi son dilettato alquanto in vero
il critico arruffato immaginando,
ch'avendo udito l'altro canto intero,
vada con questo e quello
investigando
co' disprezzi al tal verso, al tal pensiero,
fanciulli e
donne e librai guadagnando;
e sopra tutto parmi di sentire
le parole
seguenti udirlo dire:
2
--Chi è questo poeta sconosciuto
ch'esce alla stampa, e il vezzeggiar
sublime
di noi famosi, a gran prezzo venduto,
morde sí franco e
deride ed opprime?
che stile è il suo da popolo minuto?
Hassi a far
conto alcun delle sue rime,
poste in confronto a' nostri gravi temi,
alle canzon pindariche, a' poemi?
3
Che gran faccenda a noi grandi saria
lo scriver, com'ei fa, da
scorreggiate,
se la nostra spettabil fantasia
volessimo abbassare a
sue favate?--
Dal detto al fatto è troppo mala via,
pedante; non
convien far le bravate.
Prendi la penna e scrivi al paragone,
e lascia
poi decider le persone.
4
So quanto costa a me lo scriver puro,
non so, pedante, delle tue
fatiche;
ma convien certo, e non ti paia duro,
due parolette in
astratto io ti diche.
--Marmo, calcina e tempo vale un muro,
sapone
ed acqua voglion le vesciche.
Sin ch'io canto Marfisa, t'assottiglia:
scrivi qualch'opra che mi sia di briglia.--
5
Marfisa era un cervello suscettibile;
però,
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