La Marfisa bizzarra | Page 5

Carlo Gozzi
mesi.?ed altri casi all'uso de' francesi.
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Nelle commedie il costume novello?correva ancora, e cavalieri e dame?si vedean entro con poco cervello,?per l'onor, per l'amore o per la fame.?E turchi in scena con un gran drappello?di mogli pronte sempre alle lor brame;?e dileggian gli eunuchi le schiavacce?con mille detti lordi e parolacce.
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Donde gli amor, gli equivoci ed i gesti,?uniti alla natura e al mal talento,?faceano i paladini al vizio presti,
? lo teneano in freno a tedio e a stento. Altri scrittor piú dotti e disonesti per i lor fini, a tal cominciamento, stampavan libri sottili e infernali, dipingendo i mal beni ed i ben mali.
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I paladin leggeano i frontispizi?e qua e lá di volo sei parole;?poi commettevan mille malefizi,?intuonando:--Il tal libro cosí vuole.--?Se v'era alcuno ch'abborrisse i vizi,?e dicesse:--Non déssi e non si puole,--?gridavan:--Chi se' tu c'hai tanto ardire?i paladin di Francia di smentire?--
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E minacciavan di bando e galera;?ond'era forza rispettarli alfine.?Dunque la pace, l'ozio e la carriera?de' libri nuovi, fuor d'ogni confine?non sol de' paladini avean la schiera?corrotta, ma le genti parigine:?dal re Carlo sin quasi al mulattiere,?lascivo era e goloso e poltroniere.
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Lecita in chi poteva usar la forza?era la truffa, era la ruberia.?Ogni peccato avea buona la scorza,?e con nuove ragion si ricopria.?Fanciulli ed ebbri, andando a poggia e ad orza,?udiensi disputare per la via?ch'era il ner bianco e che il quadro era tondo?e che goder si debba a questo mondo.
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Gli abati in cotta e i santi monachetti,?che contra al mal dal pulpito gridavano,?sudando, trangosciando, e che a' scorretti?mille maledizion dal ciel mandavano,?erano uditi come gli organetti;?e quando le persone fuori andavano,?un dicea:--Disse male,--un:--Disse bene,?ma predica all'antica e non conviene.--
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E chi diceva:--E' canta l'astinenza,?ma so che i buon boccon non gli disprezza--?Poscia ridean con poca riverenza,?e ognun restava nella sua mattezza.?Alle orazioni ed alla penitenza?diceano pregiudizi e leggerezza,
? ipocrisie per guadagnare i schiocchi,
? cose da mal sani e da pitocchi.
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Rinaldo (perché aveva poca entrata,?piacendogli le donne e la bassetta?e il vin, che ne beeva una fregata,?sicch'ogni dí sembrava una civetta)?a Montalban fatto avea ritirata,?facendo vender senza la bolletta?acquavite, tabacco ed olio e sale?e vin contro la legge imperiale.
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S'erano i gabellier molto provati?a condur pe' trasporti la sbirraglia;?Rinaldo avea sbanditi e disperati?che facevan co' sassi la battaglia:?onde se n'eran sempre ritornati?senza poter oprar cosa che vaglia.?Carlo chiudeva un occhio e gli era amico?pe' buon servigi suoi del tempo antico.
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Cosí Rinaldo un util grande avea?e s'aiutava i vizi a mantenere;?ma il troppo vino, ch'ogni dí bevea,?l'inebbriava, ed era un dispiacere;?perché Clarice sua talor volea?fargli l'ammonizion ch'era dovere,?ed egli bestemmiava come un cane?e le dicea parole assai villane.
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E minacciava un divorzio di fare,?poi la mandava alla rocca ed all'ago.?La poveretta lo lasciava stare,?e in un canton facea di pianto un lago.?Ed egli si metteva a berteggiare.?--Cosí, ben mio--dicea,--quel pianto pago;--?e colle fanti in sul viso di lei?faceva cose ch'io non le direi.
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Il duca Namo nella sua vecchiaia?avaro ed usuraio s'era fatto.?Ogni dí fitta teneva l'occhiaia?in su' processi per fare un bel tratto;?perché investia di scudi le migliaia,?e alfin temeva qualche scaccomatto
? dalle doti o da' fideicommissi; onde avea gli occhi in sulle carte fissi.
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Poi tanti dubbi e cavilli trovava?co' poveretti che bisogno aviéno,?che sin per venti il cento comperava.?E usava un altro piacevol veleno,?che per il censo mai non molestava,?tanto che il foglio d'annate era pieno,?e poi tra il capitale e l'usufrutto,??salvum me facche?, e' si toglieva tutto.
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Prestava a' giuocator spesso danari?a un per dieci il giorno di vantaggio;?e i figli di famiglia aveva cari,?che avesser vizi assai ma non coraggio,?perché voleva il pegno e scritti chiari;?poi gl'inseguiva col viso selvaggio,?e alfin sí vago il conto avea tenuto,?ch'avean pagato e il pegno anche perduto.
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Astolfo, dopo il costume novello,?era a Parigi inventor delle mode.?Or le calze riforma, ora il cappello,?ora le brache, e guadagna gran lode;?e tagli or lunghi or corti al giubberello,?i capelli or in borsa or con le code,?le fibbie or di metallo ed or di brilli,?ovate, tonde e quadre, e mille grilli.
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E perché gli piacevano le dame,?ei fu inventor de' cavalier serventi.?A vincer cori aveva mille trame,?perch'era un damerin de' diligenti.?Né si curava di freddo o di fame,?per le servite, o di piogge o di venti,?ed ogni stravaganza sofferiva,?anzi lodava, anzi pur benediva.
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Spesso con esse alla lor tavoletta?si ritrovava e mai non stava fermo.?Or tien lo specchio, or fiorellin rassetta,?e le guatava che pareva infermo.?E poi diceva piano:--Oh benedetta!?oh occhi! oh bocca! omè, non ho piú schermo,?so dir ch'io ardo sin nella midolla.--?Poi sospirava e fiutava un'ampolla.
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Ed aveva anche pronte, non so come,?le lagrimette quando credea bene.?Certo in far all'amor valea due Rome?e por sapeva a tutte le catene.?Addosso si può dir ch'avea le some?di zaccarelle, o almen le tasche piene?di spille e nèi e pomate e confetti,?essenze e diavolon ne' bossoletti.
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E sapea dibucciare e mele e pere?e melarancie dolci, e in spicchi farle,?poi rivestirle che pareano intere,?e gentile alle dame presentarle.?In mille forme lor
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