La Campagna del 1796 nel Veneto | Page 8

Eugenio Barbarich
e terrestri, le fucine della Bresciana vennero procacciandosi

nell'industria manifatturiera quel nome che si è tramandato fino ai giorni nostri.
La trasformazione decisa e cosciente dell'industria militare privata in industria di Stato,
avrebbe quindi corrisposto in modo mirabile alle esigenze economiche e tecniche della
Serenissima, poichè avrebbe consentito di ridurre con immenso vantaggio economico
l'improduttivo organismo dell'Arsenale e di sostituire al suo lavoro, o lento o negativo,
quello più proficuo delle maestranze dei metallurgi e degli artieri, organizzati e
disciplinati in forme corporative tradizionali, vigilate per di più di continuo dalle
magistrature apposite.
Così fu concluso, nel 1782, un contratto con la _Società mercantile_ di Girolamo
Spazziani, mediante il quale essa si assumeva l'obbligo--usufruendo delle due migliori
fonderie e miniere dal Bergamasco--[31] di fornire alla Serenissima entro 14 anni, in lotti
proporzionali, le artiglierie di cui abbisognava; e cioè 35 cannoni da 30 libbre,[32] 52 da
14, 24 da 12, oltre le munizioni, gli attrezzi e gli armamenti necessari. Lo Stato si sarebbe
garantito della buona qualità delle forniture, obbligando la ditta Spazziani ad uniformarsi
strettamente nella fondita dei pezzi alle regole all'uopo prescritte dal maresciallo
Schoulemburg, e con l'assoggettare le bocche da fuoco a speciali prove forzate da
compiersi al Lido, a spese esclusive della società assuntrice ed alla presenza del
magistrato all'artiglieria.
Queste prove dovevano essere da due a quattro per ogni pezzo da collaudarsi, ed i pezzi
rifiutati si dovevano restituire alla ditta per essere rifusi e nuovamente esperimentati. Nel
contratto infine erano comminate penalità e multe alla ditta Spazziani, al caso di
inosservanza di impegni da parte della medesima.[33]
L'artiglieria veneta, con il concorso dell'industria privata, poteva e doveva quindi
rinnovarsi tra il 1782 ed il 1796. In questo periodi di tempo dovevano inoltre rifondersi o
ristaurarsi le bocche da fuoco dichiarate inservibili, e non erano poche in quel tempo: 82
cannoni di diverso calibro, 85 colubrine, 63 sacri e passavolanti, 180 petrieri, 5 mortai, 9
trabucchi ed 1 bastardo.[34]
Se così fosse stato, la Serenissima all'aprirsi della campagna del 1796 avrebbe avuto 536
bocche da fuoco disponibili, nuove del tutto o riparate; e non si sarebbero visti sui
rampari di Verona «i pezzi così malandati, i letti (affusti) così rôsi dal tempo... che se
fosse occorso di maneggiarne taluno non si saprebbe come eseguire l'ordine».[35]
* * *
Ma per assicurare tali vantaggi all'esercito sarebbero occorsi continuità di vedute
nell'amministrazione della guerra, preparazione, vigore di energie da parte delle persone
elevate all'ufficio di Savio alla scrittura, accordo infine deciso e cosciente di tutti
nell'attuare una riforma finanziaria ed industriale che avrebbe legato il nome della
Serenissima ad un grande e razionale progresso nella pubblica economia.
Ora la vecchia e già tanto sapiente Repubblica, ridotta a lottare indarno contro la morte
vicina, non poteva più trovare nel consunto organismo lo rinnovate energie capaci di
redimerla dalla triste eredità del passato. Fino al 1786, cioè durante il periodi delle
riconferme al Saviato di Francesco Vendramin--il ministro riformatore della decadenza
militare veneta--le consegne della ditta Spazziani procedettero con ordine e regolarità, ma
da quell'anno in avanti gli impegni cominciarono ad allentarsi finchè non ne rimase più
traccia. Ai lagni in materia delle pubbliche cariche militari si rispondeva invariabilmente
con delle buone promesse, con caute direzioni, con voti e parole, mentre i mali
reclamavano urgentemente fatti, mentre gli ufficiali attestavano «che in Dalmazia ed in

Levante vi sono ancora compagnie di fanti armate ancora dei fucili dell'ultima
campagna[36]... si che il solo smontarli e rimontarli, ogni volta che pulir si debbono,
basta a renderne un gran numero fuori di servizio».[37]
Vero è che per i fatti, oltre che alla ferma e cosciente volontà dei deputati a compierli,
occorre anche il danaro; e questo, come succede del sangue in ogni organismo indebolito,
è il primo a scarseggiare nei governi travagliati dalla decadenza. Alla fine della seconda
neutralità d'Italia--cioè subito dopo la guerra per la successione di Polonia--lo _sbilanzo,
o deficit_ delle finanze veneziane, era infatti salito a 770-784 ducati all'anno, ed
all'amministrazione della guerra toccò di scontare queste falle con sacrifizi e con lesinerie
le quali finirono per annientare del tutto la compagine materiale e morale dell'esercito.
«Con queste riduzioni--diceva un rapporto al Principe--il corpo delle truppe non può
oramai più supplire con la propria forza agli essenziali bisogni dello Stato... e quindi
occorre sia tolto da quel languore e miseria in cui presentemente esso si trova,
somministrandogli i mezzi di cui ha bisogno»[38].
Ma anche sa questo punto la voce del Savio Vendramin predicò invano, ed i denari non
vennero--ironia del caso--se non quando si trattò non già di apparecchiare armi ed armati
in difesa della Repubblica, ma di mantenere lautamente due eserciti sul suo suolo, nemici
l'uno dell'altro, della Serenissima, ed entrambi emuli nell'opera triste di taglieggiarla e di
calpestarla.
Ma ritorniamo al Savio alla scrittura ed alla sua fisionomia
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