La Campagna del 1796 nel Veneto | Page 6

Eugenio Barbarich
rapido, silenzioso e produttivo,
così l'opera proficua di uno Stato si arguisce dall'armonia degli sforzi de' suoi organi
direttivi e dal loro coordinamento, in modo che tutte le energie abbiano impiego e non si
smarriscano in sterili conati, o per superfluità di uffizi o per contraddizione di còmpiti.
Ora la macchina statale veneta della decadenza era complicata e rugginosa, epperciò assai
pigra e poco produttiva. Aveva addentellati con molteplici sopravvivenze feudali, intrecci
con privilegi oligarchici, vincoli con un proteiforme organismo amministrativo
burocratico e cancelleresco onusto d'impiegati; sì che tutto impaludava nello apparecchio
e nelle forme e poco o nulla rendeva nella sostanza[18]. L'amministrazione della guerra
poi--che per il suo istituto più risentiva delle sopravvivenze del passato--era così
multiforme e farraginosa da incontrare attriti ed intoppi ad ogni passo.
Le cose della guerra mettevano capo al Collegio, ossia al Consiglio dei ministri della
Repubblica, composto di 16 membri, o _Savi_[19].Di questo Collegio facevano parte il
Savio di terraferma alla scrittura ed il _Savio di terraferma alle ordinanze_; i due centri
esecutivi dell'amministrazione delle milizie di mestiere e delle milizie paesane, cioè delle
cerne.
Il Savio alla scrittura era preposto, oltre che all'ordinamento delle milizie stanziali, anche
a quello delle fortificazioni, delle artiglierie e delle scuole militari, e traeva il nome
dall'antico suo ufficio di tenere cioè al corrente i ruoli dei soldati ingaggiati. Era, in
sostanza, il ministro della guerra della Serenissima.
Il Savio alle ordinanze sopravvegliava invece al governo delle cerne e corrispondeva ad
un vero e proprio ministro alle Landwehr, cioè ad un centro organatore della difesa
territoriale.
Queste supreme magistrature militari, come le altre del Collegio, erano elettive. Più
antica--per ragione di precedenza storica delle milizie prezzolate sulle paesane--era la
carica di Savio di terraferma alla scrittura, il cui istituto venne riordinato al principio del
XVI secolo, quando cioè le armi della Serenissima più sfolgoravano per i domini d'Italia
ed oltremare[20]. Più recente era invece il saviato alle ordinanze, largamente citato nella
riforma di quelle milizie dettata da Giovanni Battista Del Monte (1592).
Il Savio alla scrittura (come gli altri membri del Collegio) durava in carica un semestre,
ma poteva essere rieletto quando fosse spirato un intervallo di sei mesi almeno dal
decadimento dell'ultimo mandato. Ne derivava perciò una specie di oligarchia
politico-amministrativa, vincolata o ad una determinata consorteria oppure ad un
monopolio nei pubblici affari. La molteplicità degli uffici burocratici accentuando i danni
di tale esclusivismo rendeva la macchina statale rigida, lenta ed improduttiva.
Per le cose della milizia questo monopolio politico ed amministrativo doveva essere
temperato, in origine, dalla carica del generale in capo. Straniero, di regola, esso era
destinato ad impiegare le truppe in guerra--sotto la responsabilità dei provveditori del
Senato incaricati di sorvegliarlo a mo' dei commissari della Repubblica di Francia--ed in
pace a suffragare della sua autorevole esperienza l'apparecchio delle armi e degli
armati.[21] Il generale in capo doveva essere infatti una specie di responsabile tecnico,

mentre il Savio alla scrittura non era altro che un semplice amministratore dei fondi
destinati dalla Serenissima al mantenimento ed all'armamento dei propri soldati. Ed
essendo la carica di generale in capo vitalizia, non pareva gran male che gli uffizi
amministrativi si alternassero attorno ad essa, con vicenda più o meno frequente,
emanando da una ristretta base nella scelta delle persone a ciò deputate.
Ma poichè si resero sempre più rare le guerre ed il vezzo delle neutralità le confinarono
alla fine tra i ferrivecchi, la benefica influenza moderatrice del generale in capo sulle
magistrature militari, politiche e burocratiche, cominciò a scadere, fintantochè scomparve
del tutto. Rimasero i danni ed i pericoli delle consorterie, senza argine e senza riparo.
Dopo lo Schoulemburg, distinto generale sàssone cui la Signoria aveva conferito il titolo
di maresciallo e l'incarico della difesa di Corfù, nel 1716; dopo i generali Greem e
Witzbourg--tutti stranieri ed eletti generali in capo delle forze venete--per amore di
economia[22] o per mal concepite diffidenze verso una carica che sembrava oramai
destituita di ogni significato pratico, essa passò in dissuetudine con il tacito consenso del
Collegio, del Senato e del Doge. Da quel punto, il Savio alla scrittura si rinchiuse senza
controllo nelle sue funzioni burocratiche e cancelleresche e diventò, alternatamente, o
una carica monopolizzata dalle medesime persone---salvo l'intervallo legale nella
rielezione--quando si trovavano coloro che volentieri la disimpegnassero; oppure un
caleidoscopio di persone diverse prive di competenza e di pratica[23]--
Sulla cooperazione del collega alle ordinanze non v'era oramai più da contare alla fine
della Serenissima, perchè questa magistratura si era completamente atrofizzata. Per
formarsi un'idea circa l'attività e l'importanza di quel Savio, basta citare alcune cifre
relative al maneggio che esso faceva del pubblico denaro per l'amministrazione
dipendente. Nel bilancio pel militar dell'anno 1737, solo 9511 ducati e grossi 21 erano
assegnati al Savio alle ordinanze per le cerne, e ducati 309 e grossi 17 per
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