risvegliato un senso nascosto, qualche cosa che dormiva in me, che
sembrava morto, che sarebbe forse realmente morto senza quella
potente evocazione.
Alla domenica, in chiesa, Orsola che veniva sempre con me, mi mostrò
la mia cattiva parente sussurrando:
--Veda che aria di sfida ha quella goffa!
Ed io risposi, rischiarata da una luce superiore:
--Non occupiamocene, Orsola.
Nel ritorno dalla chiesa--era la fine di febbraio--mi parve di non avere
mai visto tanto limpido sole, nè così lieti gruppi di casolari lungo la via
e--questo fu senza dubbio un effetto della mia immaginazione--prima
assai del tempo inturgidivano i rami dei mandorli dentro gli orti.
--Orsola--dissi con uno slancio che mi veniva dal fondo del cuore--non
ti pare che la vita sia bella?
--La vita, mia buona signora, non è nè bella nè brutta. È la vita.
Avrei voluto che Orsola continuasse il suo discorso sviluppando il suo
pensiero, ma ella invece soggiunse scuotendo il fazzoletto sulle sue
scarpe nuove:
--Quanta polvere!
Tornata a casa la giornata non mi sembrò più splendente come prima.
Forse il sole si era nascosto; le cortine rosse del mio salotto non
ardevano di quel dolce colore di fiamma che gli dànno l'aspetto di un
tempio preparato per misteriosi riti. Anche qualche altra cosa mancava
al mio salotto. Io solevo passare le domeniche d'inverno giuocando con
Alessio, chiacchierando con Orsola e con Pietro finchè non fosse giunta
la stagione di raddrizzare i rosai e di preparare le sementi nuove; ma
quella domenica mi parve interminabile.
--Pietro--dicevo di tanto in tanto--credo che abbiano suonato il
campanello.--Va a vedere.
Pietro andava a vedere e riferiva:
--Nessuno, signora.
Raccontai ad Alessio una lunga favola; la favola del principe che era
stato trasformato in bestia e che doveva rimanere bestia finchè la più
bella fanciulla non si fosse innamorata di lui.
--Questo è impossibile--diceva Alessio.
Ed io:--perchè impossibile?--Se per esempio la fanciulla avesse capito
che sotto le forme bestiali c'era il principe?
Ma Alessio non si interessava a questo problema. Io invece lo trovavo
di una bellezza che non m'era apparsa mai prima di allora. Quanto
dolore in quell'essere nobile oppresso da un destino inumano e quanta
gioia nell'istante della liberazione! Come egli doveva amare veramente
chi lo aveva così veramente amato!
Prima di andare a tavola Orsola, tutta turbata, venne a dirmi che la
conserva di pere aveva preso la muffa. Ora mi ricordo benissimo che in
altre circostanze consimili io avevo diviso le pene di Orsola, ma quella
volta non mi fu possibile; cercai anzi di persuaderla che era una
disgrazia ben meschina.
--Che daremo al piccino quando mangia alla sera il suo pezzetto di
pane?
Così brontolava l'Orsola girando fra le mani il barattolo della conserva.
--Potremo ben dargli un po' di miele, non ti pare, Orsola? E se
mancasse il miele credi che non basterebbe un po' di burro sul pane?
--Dio benedica la signora--esclamò Orsola--oggi trova tutto bello e
tutto buono!
Effettivamente mi pareva che fosse zampillata dentro di me una
fontanella, una fontanella di gioventù e di vita; me la sentivo sorgere
dal cuore, precipitare sui polsi, dilagare sotto la pelle. Mi venivano in
mente cose alle quali non avevo mai pensato; mi sorprendevo ad
ascoltare nell'aria voci arcane e giulive, quasi un coro di ore felici che
mi venisse incontro; ed era tale la mia compenetrazione col mondo
invisibile che avevo qualche volta la sensazione di sentirmi crescere dei
fiori nelle mani, dei fiori sui capelli.
Un giorno stando alla finestra vidi passare mio cugino. Egli alzò il capo
e mi salutò molto garbatamente; l'indomani venne a farmi visita.
--Come avete tardato!--gli dissi.
--Avevo bisogno di vedervi per essere sicuro di non riuscire molesto;
per questo passai e ripassai ieri sotto le vostre finestre. La facciata della
vostra casa misura quaranta passi e il fianco trentadue. Il palazzo della
Bella nel bosco non era forse così vasto.
Egli aveva un modo di parlare naturale e diceva le cose più sublimi
come le più umili semplicemente, collo stesso accento convinto e
persuasivo. Si guardò attorno e chiese:
--Dov'è l'omino?
Alessio sbucò di sotto una poltrona con un pulcinella in mano e le
guancie tinte di melassa.
--Che faccia curiosa ha questo bimbo!
--Orsola dice che assomiglia a suo padre e Pietro dice che assomiglia a
me.
--Ecco una prova dell'acume dei vostri consiglieri.
Pensai (pulivo nel frattempo la faccia di Alessio) che quando egli
nacque suo padre era a Parigi, secondo il solito; che alle mie ardenti
preghiere di ritorno aveva risposto che gli affari lo trattenevano--quali
affari, mio Dio?--che poi aveva visto una sola volta suo figlio e che da
due mesi mancavo di sue notizie.
--Mi sembrate triste.
--La solitudine è triste.
--Come mai, in compagnia di Pietro e di Orsola?
Oh che cattiveria! Sì, questa mi sembrò una cattiveria e una mancanza
di cuore.
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