LAmuleto | Page 3

Neera
salotto, non
fui molto impacciata nello stendergli la mano e Alessio che si alzò
subito e venne a nascondersi fra le mie gonne mi fornì l'argomento del
discorso.
Così di primo acchito non posso dire che mi fosse riuscito nè simpatico

nè antipatico, ma certo mi parve non comune e guardandolo bene lo
trovai bello di una bellezza fiera e delicata insieme.
Egli pure mi guardò senza spavalderia con un'attenzione minuziosa e
seria.
Di mio marito non disse una sola parola. Sapeva senza dubbio che egli
viveva quasi sempre lontano da me, ma avrebbe potuto chiedermi sue
notizie; almeno mi parve che dovesse farlo. Mi domandò invece come
passavo il mio tempo e se leggevo. Leggere? Ciò mi sorprese un poco.
In realtà guardandomi attorno, non vedevo alcun libro nel mio salotto.
Mio marito aveva dei libri nella sua camera, ma non mi ero mai
interessata di sapere che cosa fossero. Gli dissi che Alessio mi
occupava molto, che cucivo tutti i suoi abiti e coltivavo anche
discretamente i fiori del mio giardino; poi facevo i conti di casa con
Pietro e ripassavo la guardaroba insieme all'Orsola.
--Tutta la vostra vita è qui?--chiese Egli con un accento che mi parve
racchiudesse un recondito disprezzo.
--Ho anche i miei poveri.
--Ah!
Dopo questa esclamazione fatta in tono reciso e freddo comprese forse
di aver sbagliato, perchè si affrettò a dirmi qualche cosa di gentile,
chinandosi ad accarezzare il mio bambino.
--Vicini non ne abbiamo, nevvero?
--No. I soli vicini siamo noi due.
Sorrisi dicendo così ed Egli pure sorrise rivelandomi una espressione
nuova del suo volto e della sua anima. In quel momento non sentii più
soggezione e mi sembrò allora che egli fosse proprio mio parente.
--Siamo i soli vicini di campagna, e siamo anche i soli nella famiglia.
Ci deve ben essere qualcun'altro, uno zio, credo?...

--Sì, che ha fatto un cattivo matrimonio. Sua moglie si è comportata
molto male con noi. È una donna ambiziosa e invidiosa; fa apposta a
venire nella nostra chiesa alla domenica per umiliarci e per costringerci
a cederle il banco che....
--Di grazia, lasciamo queste volgarità. Cara cugina, nè a me nè a voi
non devono interessare affatto. Vi pare?
Arrossii a queste parole, rammentando quante volte avevo tenuto quel
discorso con Orsola. Egli ebbe il buon gusto di non accorgersene e
gliene fui immensamente grata.
Poi incominciò a parlare de' suoi viaggi. Siccome io ne presi occasione
per deplorare la mia vita solitaria dicendo che nei viaggi si imparano
molte cose, Egli soggiunse:
--Le sole cose necessarie a sapersi si possono imparare in qualunque
solitudine. I viaggi aggiungono certamente qualche dote allo spirito ma
non è l'importante. L'importante è sempre dentro di noi.
Anche questo mi sorprese. Io non mi sarei mai immaginata che un
uomo della buona società osasse contraddire così apertamente una
signora alla sua prima visita.
--Resterete per un po' di tempo alla Querciaia?
--Per molto tempo. Potrò anche stabilirmivi se per esempio trovassi una
donna ideale, una moglie degna di me.
Spalancai gli occhi senza dir nulla, ed Egli soggiunse con quel suo
sorriso che rendeva dolce qualsiasi parola, come se vi gettasse sopra
una luce:
--Vi sembro orgoglioso? ma bisogna essere orgogliosi, è il principio di
tutte le virtù.
--Ho sempre inteso dire il contrario. È l'umiltà che è virtù.
--Errore, errore.

Si accorse di avermi scandalizzata e disse subito:
--Noi dobbiamo almeno conoscere le nostre forze, di questo converrete;
sopratutto quando si tratta di scegliere il compagno o la compagna della
intera vita. Vi sembra bella l'umiltà che ci fa accettare un essere
indegno di noi, nostro inferiore, che ci darà dei figli dei quali forse
dovremo arrossire?
Guardai con angoscia il mio Alessio, tanto bello e tanto buono. Il
piccolo amore, essendosi accorto del mio sguardo pieno di tenerezza e
di terrore, mi tese i suoi braccini ed io me lo strinsi al seno con un
impeto straordinario.
--È carino questo fanciullo--disse Egli posandogli una mano sulla
testa--ma ecco che i vostri occhi scintillano di orgoglio materno; cara
cugina, non avete paura di far peccato?
Avevo voglia di ridere e di piangere insieme. Mi sentivo un gruppo alla
gola e un formicolio nelle vene, come se vi si fosse infiltrato un licore
nuovo.
--Del resto--mormorò crollando il capo, quasi rispondendo a un
invisibile interlocutore--è naturale che sia così.
--Voi dovete giudicarmi molto sciocca e molto semplice.
--Semplice sì, sciocca no.
Come mai questa asserzione che non conteneva il più lontano
complimento, che era appena educata e niente più, mi riempì di uno
strano giubilo? Avevo forse bisogno che venisse lui ad assicurarmi che
non ero sciocca? A buon conto ripresi:
--Ma le persone semplici non vi devono piacere molto.
--Avete ragione, non molto.
--Grazie.

--Non c'è di che. Vi ho voluto dimostrare i pericoli della semplicità.
Potete immaginarvi che
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