con lena
giovanile sulle sabbie del mare, infino a quando io non l'avessi
ammonita di far ritorno all'albergo. Pareva una giovane rondinella, che
vicina a passare l'Oceano, tentasse con brevi voli la vigoria delle penne.
Una sera, tornando da una passeggiata più lunga del consueto, mentre
io stava per congedarmi da lei «Amico, mi disse con accento risoluto;
lunedì prossimo noi partiremo per Roma».
--Sì presto?
--Anche troppo abbiamo indugiato. Aspetteremo noi che i fratelli
abbiano compiuta l'impresa senza di noi?
--Quando crediate che la vostra salute non debba soffrirne--per me,
sono pronto a seguirvi.
--Dunque... deciso!
--Deciso! risposi risolutamente.
Ed io ripresi il cammino del convento coll'animo più agitato che mai.
La risoluzione della Ascolana, sebbene naturalissima, fu come una
pietra lanciata nell'onda tranquilla dell'anima mia.--Le mie finanze non
si erano fino a quel giorno aumentate di un solo baiocco. Ora, come
poteva io accompagnare la bella Ascolana senza premunirmi le tasche
del denaro occorrente alle spese di viaggio?
Con tali pensieri entrai nel convento e mi presentai ai monaci nel punto
che essi mettevansi a tavola.
--Voi mi sembrate turbato, disse padre Serafino, il superiore del
convento.
--Lo sono pur troppo. Ho deciso partire da Grottamare lunedì prossimo,
per recarmi a Roma.
--A Roma! esclamarono ad un punto tutti i religiosi.
Quell'annunzio produsse un effetto di stupore.
La cena fu più triste, più silenziosa del consueto. Levatomi da mensa,
io mi recai alla cella di frate Domenico. Poichè fui solo con lui, il
dabben uomo, appoggiandomi la destra in sulla spalla--figliuolo, mi
disse--voi avete presa una santa risoluzione. Io non aveva osato parlarvi
apertamente prima d'ora; ma il rimaner qui, fra gli ozii del convento, a
voi giovane ancora e robusto, era proprio vergogna. Andate, che il
Signore vi benedica! Se Iddio concede vittoria alle nostre armi, spero
che un giorno ci rivedremo. Se è scritto nei voleri della Provvidenza,
che prima di ottenere il trionfo, i campioni della civiltà e del progresso
vengano sottoposti a più dure prove--se Roma è destinata a ricadere
sotto il dominio assoluto del Pontefice... allora (e la voce del frate
divenne fioca) allora dite un requiem all'anima del povero frate
Domenico--perchè io son certo che le libere idee da me espresse in
questi giorni mi costeranno la vita!
Io uscii dalla cella del frate. I monaci, che attraversavano i lunghi
corritoi mi parevano vampiri. Mi chiusi a chiave nella mia cella, nè per
quella notte potei prender sonno.
Però, da quella veglia inquieta nacque una ispirazione felice, ed io
trovai l'espediente per ristorare le mie povere finanze.
All'indomani, verso le dodici ore, un gran cartellone, scritto a
inchiostro di vari colori, annunziava agli abitanti di Grottamare un
grandioso trattenimento vocale-istrumentale-poetico-dentistico, che
dovea aver luogo nella sala del teatro la prossima domenica. Alcuni
dilettanti del paese avrebbero eseguiti quattro pezzi di scelta musica, io
avrei cantate sedici o venti cavatine fra buffe e serie, il Birecchi
avrebbe strappati non so quanti denti al cospetto del pubblico; e un
poeta di passaggio avrebbe improvvisati e declamati un centinaio di
sonetti. Il prezzo d'entrata, perchè fosse proporzionato alle finanze di
tutti, si lasciava all'arbitrio degli spettatori. Il teatro sarebbe illuminato
a giorno.
Quel gran cartellone produsse l'effetto ch'io mi attendeva. Gli abitanti
di Grottamare ricchi e poveri, giovani e vecchi, rimasero stupefatti dal
pomposo annunzio. È bene l'avvertire che già da quindici anni non s'era
riaperto quel teatro a spettacoli di sorta, e i proprietarii dei palchi
sospiravano da gran tempo una buona occasione per riprendervi un
dritto di possesso, che da tempo immemorabile i ragni ed i sorci avean
loro usurpato. Quindi è che non mai, anche all'epoca solenne
dell'apertura, s'era veduta la popolazione di Grottamare con tanta
esultanza, tanto trasporto, tanto entusiasmo affollarsi dinanzi ad un
avviso teatrale. Io mi avvidi d'aver trovata la miniera degli scudi; e
sicuro di poterne ricavare quanto mi abbisognava per le spese di
viaggio, mi tenni l'uomo più beato della terra.
CAPITOLO VI.
Un concerto sconcertato.
Sai tu, lettore mio, quanto costi di noje, di rabbie, di attacchi nervosi,
l'organizzare un concerto musicale?
È più facile l'appaiare ad un carro una tigre ed un coniglio, educare ad
amichevole consorzio due sorci ed un gatto, trovare alla Camera dei
Deputati due onorevoli che vadano perfettamente d'accordo in una
quistione politica, riscontrare presso il letto d'un ammalato due medici
d'egual parere sull'indole di una malattia,--che non il riunire i tanti
elementi all'apparenza identici, di che si costituisce un concerto.
E dopo tante cure, tanti affanni, qual frutto?
Domandatelo a quei tanti artisti di merito, che da molti anni se ne
vanno pel mondo con un violino o con un piffero...
La domenica fatale era giunta...
Suonavano le nove del mattino, quand'io sentii bussare leggermente
alla porta della mia celletta.
--Son io, disse il sagrestano avanzandosi con esitazione.
--Che vi ha di
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