della casa.
Andai a sedermi fuori nel buio.
La notte era tempestosa. Un balenar continuo senza tuono batteva, di là
dal lago, le nuvole nere e le creste selvagge, che, in quei sùbiti bagliori,
parevano vivere. Sul nostro capo il cielo restava buio, restava buio
l'abisso a' nostri piedi; e, quando il piano tacque, si udirono giù nelle
valli profonde tutte le campane dei paeselli. Due signore uscirono e
sedettero poco discosto da me. Non le potevo vedere, ma sentii il
profumo di rose della mia vicina. «Molto bene, non è vero?» disse
questa, in inglese. Era la sola voce femminile che conoscessi lassù.
Non vi fu risposta. Dopo brevi momenti udii un'altra voce dir piano:
--The bells (Le campane).
Ho sempre pensato, e non so come questo strano pensiero sia nato in
me, che l'odore dell'olea fragrans possa dare un'idea della dolcezza di
quella voce. Trasalii e mi domandai dove l'avessi udita. La signora
dall'essenza di rose disse ancora qualche cosa che non intesi e la voce
dolce rispose:
--Yes, there is hope (Sì, vi è speranza).
Ebbi come un baleno interno; era la voce del mio sogno. Mi misi a
tremare, a tremare senza saper perchè, senza capir più niente, sebbene
le due voci parlassero ancora. Tre o quattro altre signore uscirono dalla
sala e tutta la compagnia s'avviò poi verso gli alberi. Io non pensai a
seguirla, avevo una indicibile avidità di esser solo. Corsi nella mia
camera e là mi sfogai.
Ero come pazzo, m'inginocchiavo a ridere e piangere, balzavo in piedi
a pregare, sentendo Iddio infinito e me niente, stendevo dalle finestre le
braccia verso il nero scoglio sovrano battuto dai lampi, gli dicevo con
trionfante gioia di volermi bene ancora perchè ne tornavo degno.
Parlavo così a voce alta e poi ridevo di me stesso, ridevo di esaltarmi
per una persona di cui non conoscevo ancora il viso; ma era un ridere
felice, pieno di fede, senza la menoma ironia. «There is hope, there is
hope» ripetevo «vi è speranza.» E poi mi coprivo il viso colle mani,
pensavo; e lei? e lei? Chi sa se aspetti anche lei, chi sa se abbia avuto
sogni, presentimenti? Che viso, che nome avrà? Poi non pensavo più a
nulla, mi riprendeva il fremito di prima. In un'ora triste dell'adolescenza,
vagando per le colline in fiore della mia patria, mi ero veduto
nell'avvenire una scura e fredda giovinezza e, sul cader di questa, uno
splendido fior di passione, improvviso come il fiore dell'agave. Ora il
mio cuore batteva «l'agave, l'agave!» Vi strinsi ambo le mani su,
ansando. Credetti in quel punto che gli occhi miei mandassero
veramente luce.
IV.
Quella notte non dormii affatto e la mattina seguente fui il primo a
entrar nel salottino attiguo alla sala da pranzo dove gli inglesi
scendevano fra le sette e le nove a prendere il thè. Mi era venuto nella
notte il dubbio che la dolce voce appartenesse ad una signora che avevo
veduto per la prima volta il giorno innanzi, e che era discesa a pranzo
con l'altra dal profumo di rose. Quest'ultima venne a prendere il thè,
sola, alle otto e mezzo. Subito dopo qualcuno entrò dall'uscio, cui
volgevo le spalle, e salutò. Era la voce di lei.
Sino a quel momento ero stato agitatissimo, ogni passo mi aveva fatto
palpitare. La voce sua mi chetò sull'atto come un ghiaccio che colga
l'onda. Tutto tacque in me; mi trovai tranquillo, ma senz'altra coscienza
che del momento presente.
La nuova venuta sedette in faccia all'amica sua. Mostrava un
venticinque anni, era alta, bionda, aveva una fine fisonomia delicata,
due occhi quieti che parevano veder poco e somigliavano alla sua voce
per la soavità leggermente fioca, come per l'intima espressione
d'intelligenza; la mano piccola e bianca aveva una simile espressione.
Mi colpì un anello d'oro, liscio, all'anulare della mano sinistra.
Ella non mi guardò neppure e si mise a parlare con l'altra signora.
Sorrideva deliziosamente, e, quando sorrideva, era una musica così
tenera! Intesi che domandò notizie di un disastro avvenuto la notte sul
lago. Io solo ne avevo. Era infatti scoppiato, dopo la mezzanotte, un
temporale furioso, e un comball carico di sabbia si era sommerso con
gl'infelici barcaiuoli. Colsi la buona occasione e tentai di raccontare la
cosa in inglese. Ella mi guardò un po' sorpresa e mi rispose qualche
parola nel più puro italiano, mortificandomi così alquanto; poi fece atto
di ringraziarmi con un leggero cenno del capo, con uno sguardo serio e
benevolo; e riprese il suo dialogo con l'amica. Allora uscii, contento di
quello sguardo, non senza, però, una penosa trepidazione, un dubbio
nuovo. Mi pareva di amare già e che ella non somigliasse a nessun'altra
donna; che la sua bellezza, quasi chiusa agli altri, dovesse riuscire
squisitamente singolare e varia per un amante; che
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