Il fallo duna donna onesta | Page 7

Enrico Castelnuovo
di tratto in tratto tenevano luogo
delle frasi più calorose ch'ella non avrebbe permesse... E molto vaghe,
molto discrete erano anche le allusioni all'ufficialetto di marina del
quale nei primi tempi, quando nulla di grave era successo, ella gli
aveva parlato frequentemente. Egli scherzava su questa flirtation a cui
non voleva attribuire nessuna importanza. Conosceva troppo la sua
savia amica da aver paura ch'ella cedesse ad impeti irriflessivi. D'altra
parte a lui ripugnava l'ufficio del pedagogo... In qualunque momento
avesse bisogno di lui sarebbe a' suoi ordini. Non aveva che da scrivergli
o da telegrafargli. Fosse anche al polo Nord, sarebbe venuto.
Queste lettere che rivelavano un'affezione così profonda e
disinteressata, una sollecitudine così viva e piena di tanto riserbo, erano
per la Teresa nello stesso tempo un conforto e un rimprovero. Sentiva
d'avere in Vergalli un amico a tutta prova al quale nessun sacrifizio
sarebbe parso troppo grave, ma sentiva pure il rimorso di non essere
stata franca con quell'amico, e pensava al dolore ch'egli avrebbe
provato quando gli fosse nota tutta la verità. Intanto doveva sforzarsi a
scrivergli disinvolta senza schivar di nominargli di Reana (che sarebbe
stata un'affettazione contraria allo scopo) ma nominandoglielo poco e
soffermandosi di preferenza a discorrer di cose indifferenti: dei restauri
della sua villa che procedevano in modo da lasciarle speranza di
passarvi una quindicina di giorni in novembre; della stagione ch'era un

incanto e che rendeva assai meno triste l'ottobre solitario di Venezia;
delle notizie ch'ell'aveva di qualche conoscente comune, ecc. ecc.
Mostrava poi d'interessarsi grandemente a ciò che Vergalli raccontava
di sè e dei suoi viaggi, e si faceva una festa all'idea di riparlarne con lui
nelle loro tranquille serate d'inverno, quando si bisticciavano spesso a
proposito d'arte, di musica, di letteratura...
Ahi quante volte, mentr'ella scriveva in tal modo, quante volte era
tentata di stracciare il foglio, di mutar tuono e di dire al conte Mario:
«V'ingannate facendo assegnamento sulla mia saviezza. V'ingannate
credendomi incapace di cedere ad impeti irriflessivi. La Teresa
Valdengo che volevate per vostra moglie oggi non sarebbe più degna di
portare il vostro nome, nè voi osereste più offrirglielo. Ella non ha più
diritto d'aspettarsi da voi se non l'indulgenza che s'accorda ai colpevoli
sventurati.»
Non lo diceva; troppo le ripugnava una confessione che avrebbe
precipitato il ritorno del Vergalli, che lo avrebbe forse messo di fronte a
di Reana: ma come le costava il mentire; ma che fatica era per lei il
riempir quelle quattro paginette, che, durante altre assenze di Mario,
ell'aveva riempite con tanta facilità! E come le si leggevano in viso le
traccie della lotta combattuta con sè medesima!
--O hai ricevuto una epistola del tuo Mentore, o gli hai scritto--le
diceva di Reana. E fremeva, pur non osando, dopo il rabbuffo avuto,
insistere per conoscere il tenore di queste corrispondenze. Fu la Teresa
stessa che un giorno, sorpresa da lui nel punto che stava per chiudere
una lettera destinata al conte, la tirò fuori spontaneamente dalla busta e
gliela diede fra le mani.
--Tu permetti... davvero?--chiese Guido non credendo a sè stesso.
--Sì...
Egli scorse rapidamente il foglio e parve rasserenarsi.
--Gli dai del voi?

--Non c'è nulla di singolare, con un amico di quindici anni.
--Oh, no certamente... E anch'egli ti dà del voi?
--Anch'egli... Perchè mi darebbe del lei?
--Avevo paura...
--Di che cosa?
--Che con la scusa di esser molto più anziano di te e di averti
conosciuta appena maritata...
--Ebbene?
--Ti trattasse con confidenza ancora maggiore;... ti desse del tu
insomma.
Ell'aperse la scrivania e ne tirò fuori a caso una lettera, porgendola a
Guido che sulle prime finse di non volerla.
--Leggi--ella intimò.--Tanto fa...
Egli esitava ancora.
--Leggi--ripetè la Teresa.
--Pur che tu non mi tenga il broncio.
Ella fece un gesto d'impazienza.--Dal momento ch'io stessa ti dico di
leggere...
--Allora... ubbidisco.
La Teresa chinò la testa in segno affermativo, mentre un sorriso
leggermente ironico le sfiorava le labbra.
Nel restituirle il foglio, l'ufficiale fece atto di piegare il ginocchio e
susurrò:--Perdono.

Ella si strinse nelle spalle. Poteva dire d'averla intesa quella parola nel
poco tempo dacchè conosceva Guido di Reana; poteva dire d'averglielo
accordato questo perdono! E si tornava sempre da capo!--L'amore è
fatto così--era la scusa di Guido. Ella sospirava. Amare è dunque la
stessa cosa che tormentare?

V.
Da più giorni il Cristoforo Colombo era ancorato nel bacino di San
Marco. La Teresa sentiva gli squilli della tromba sonante la diana al
mattino e la ritirata la sera, vedeva, affacciandosi alla finestra, la nave
candida galleggiar sull'acqua tranquilla, vedeva issare e calar la
bandiera, e i marinai, agili come scoiattoli, salir sui pennoni, e
l'ufficiale di guardia, con le mani intrecciate dietro la schiena,
camminar su e giù per la coperta. Col cannocchiale le sarebbe stato
facile distinguer le fisonomie. Guido di Reana le aveva
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