Il Sacro Macello di Valtellina | Page 8

Cesare Cantú
libero suolo, morto libero, libero riposava. Venne tacciato il Castelvetro d'avere tradotto un libro di Melantone, con quel suo carattere di stile che non può essere contraffatto: nelle opere postume, comunque temperate dagli editori, trovò la curia romana di che condannarle all'indice, ma benché scomunicato, non consta ch'egli abjurasse la fede. Il che, se stato fosse, non l'avrebbero taciuto i nemici per vendetta, i religionarj per trionfo.
Chiarissimo tra i rifuggiti in Valtellina è Pier Paolo Vergerio, che spedito nunzio del papa in Germania quando più il luteranesimo acquistava, caldamente operò a bene della vera fede. Le sue lettere spirano religione, vivo zelo per gl'interessi di Roma e speranza di richiamare sul cammin dritto Lutero, col quale anche s'abboccò. Ma tornato, quando attendeva la porpora in premio di sue fatiche, l'invidia il bersagliò di maniera che, allontanato da Roma, fu messo vescovo prima a Mondrussa in Croazia, poi a Capodistria sua patria. Ivi egli pose studio a correggere gli abusi della sua Chiesa, allontanare il convento delle monache da uno attiguo di frati, cessare le leggende di san Cristoforo e del drago di san Giorgio, levare certe strane effigi, negar ai santi la protezione speciale su certe malattie, togliere le tavolette dei miracoli. Per questo gli furono addosso i frati zoccolanti ed altri operosi nemici quali il celebre Muzio, povero arnese che la corte romana pagava allora come suo campione, e monsignor della Casa, l'autore del Galateo, che lo dipinsero come luterano marcio nel cuore. Tali accuse acquistavano allora sì facile credenza, come una volta le stregherie e nei tempi a noi vicini quelle di giansenista e l'altre generiche, a cui la vaghezza toglie di esser colpite di risposta. Il Vergerio si condusse al concilio di Trento, a radunar il quale efficacissima opera aveva prestata, ma ne venne rigettato: ricovrò a Padova e sentendosi o temendosi ricercato fuggì in Valtellina, e fu sentenziato d'eresia. Chi sente la rara virtù di resistere con tranquilla mente agli iterati colpi della fortuna, ossia della malvagità degli uomini, slanci la pietra contro di lui, perché il dispetto, il bisogno, la disperazione lo trasformarono in un furioso novatore. Girò la Germania portando seco, invece di tesori mondani, molti scritti dei novatori, dicendo "con certa sua eloquenza popolare ed audacemente maledica" cose di fuoco contro monsignor della Casa, principalmente per quei sozzi capitoli della Formica e del Forno, contro Paolo III, contro il Concilio, contro le fede: "e sono certo--dice Bayle--che pochi libri si facevano allora, i quali fossero letti con più avidità da costui". A persuasione di lui, gli Svizzeri non intervennero al Concilio. I Grigioni, che vi avevano mandato il vescovo Tomaso Pianta, lo richiamarono. A Pontaresina, ai piedi del monte Bernina, predicò il Vergerio sulla giustificazione e sui meriti della morte di Cristo e ridusse gli abitanti alla riforma, come pure a Casaccia sotto la montagna Maloggia. E la chiesa di Poschiavo consacrò al nuovo culto(20), a cui tanti proseliti acquistava la sua apostasia. Quando nel 1553 visitò la Valtellina, una deputazione supplicò il governatore di impedirlo, altrimenti non rispondevano degli scandali che potessero nascere; e il Vergerio si tenne per avvisato, e si ritirò. Ma nel 1563 il nunzio papale Visconti scriveva da Trento a san Carlo, essersi per lettere del monsignor di Como inteso che il Vergerio si trovava in Valtellina, predicando ogni male del Concilio. Poi, mentre aveva perduta l'alta sua posizione nel clero cattolico, non acquistò la confidenza dei protestanti, perché libero pensatore, e non aderendo a Lutero più che a Zuinglio, diveniva sospetto a tutti. Il far episcopale che conservava ingelosì i ministri retici, talché si ricoverò a Tubinga, dove morì al 1565 ed alcuni ne dispersero le ceneri.
Così i Riformati già erano a lite fra loro. E anche in Valtellina i rifuggiti, come avviene quando il senno individuale sottentra al comune, mancava un punto d'accordo. Abbandonandosi all'orgoglio della libera interpretazione mettevano fuori sottigliezze ed errori ogni giorno nuovi e, intolleranti quanto coloro da cui si erano staccati, ognuno accusava l'altro perché facesse uso di quella libera ragione sulla quale egli stesso si appoggiava. In esecrare il papa e riprovar la chiesa cattolica e abbattere il clero erano unanimi, ché facile è accordarsi nell'odio e nella negazione. Ma quando si venisse ai dogmi, nasceva quella confusione che è inevitabile ove ognuno ha diritto d'essere interprete della parola di Dio. Repudiato poi il simbolo cattolico, che pure traeva autorità dall'ispirazione superna, qual ragione doveva legarli al simbolo luterano o al calvinista, opere d'uomini, variate nelle successive edizioni? Quindi molti trascorrevano con Socino a negare la trinità, o cogli Anabattisti a non accettare che la personale aspirazione.
Francesco Calabrese e Girolamo da Mantova predicavano apertamente contro il battesimo dei bambini in Engadina, onde furono espulsi dall'inquisizione protestante, che non era meno intollerante della romana. Camillo Renato spacciò uguali dottrine a Caspano, poi
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