della Mera, che
comunica colla val Pregallia, e questa coll'Engadina, dove sorge l'Inn,
che, innavigabile, procede fin nel Tirolo.
Altri varchi ha la Valtellina. E principali quel della Casa di San Marco
verso i Bergamaschi; e Zappelli di Aprica verso i Bresciani; a Tirano la
valle di Poschiavo, italiana di lingua e grigione di governo; a Sondrio la
val Malenco, che termina nella montagna del Muretto, per le cui
ghiacciaje si cala fra Grigioni.
Il cielo, la lingua, le produzioni della Valtellina e dei contadi son quelle
della Lombardia ed alla Lombardia erano state sempre unite,
obbedendo nell'ecclesiastico ai vescovi di Como, nel civile, ai duchi di
Milano. Ma quando questi s'infiacchirono col separare la causa loro da
quella dei popoli, la lasciarono invadere da stranieri. I Grigioni, non
appena assicurata la libertà, ambirono conquiste e, con quei pretesti che
non difettano mai agli ambiziosi, piombarono assai volte sulla
Valtellina; nel 1512 la occuparono tutta, e benché nella pace di Jante la
ricevessero come cara e fedele confederata al vescovo di Coira e alle
Tre Leghe, salvo i privilegi e le consuetudini sue antiche, l'ebbero ben
presto ridotta a serva. Solito abuso di chi ha la forza.
A reggerla mandavano a Sondrio, ogni quattro anni, un capitano della
valle, e negli altri due terzieri un podestà biennale. Restavano governati
a parte i contadi di Bormio e Chiavenna. Questi magistrati oltre l'essere
esosi, perché forestieri, non erano limitati da stabili leggi: compravano
a danaro il posto e se ne rifacevano regolando la giustizia, secondo
l'avarizia e l'ambizione. Peggio andò quando entrarono di mezzo anche
le dissensioni religiose.
Le dottrine nuove propagate nei Grigioni, per la vicinanza, per il
commercio, per i magistrati, non tardarono a introdursi anche nella
Valtellina, piacendo ai Grigioni dominatori che questa si allontanasse
ognora più dalla Spagna, allora dominatrice del Milanese e capitana
della parte cattolica. Adunque a Poschiavo da Rodolfino Landolfo fu
piantata la prima stamperia che i Grigioni avessero; e per quanto il papa
e il re di Spagna ne reclamassero, seguitava a diffondere i libri dei
Riformati per l'Italia; la valle fu aperta a quegli Italiani, che, per
sospetto di eresia, erano dalla patria sterminati.
Perocché, appena i nuovi insegnamenti valicarono le Alpi, furono qui
accolti, studiati e applauditi nell'ombra e nel mistero. Che se qui non
suscitarono tanto incendio come in Alemagna, nasceva da ciò che il
popolo, già avvezzo a sentir declamare da novellieri, da poeti, da
predicatori contro la corte di Roma, come si tollerava pienamente, non
trovava in quelle diatribe l'allettamento della novità. Deditissimo poi
agli spettacoli religiosi, non sapeva abbracciare un culto senza bellezza,
senza vita, senza amore, surrogato a quella bella liturgia romana, ove i
canti, or lieti e trionfali, or teneri e melanconici, gravi sempre e
maestosi, e le cerimonie, venerabili per antichità e per significazione
profonda, riposano sul dogma della presenza reale, e si manifestano con
una ricca e magnifica arte, composta di idee, le più sublimi unite ai
simboli più graziosi. Dei sentimenti più puri, manifestati colle forme
più splendide e variate. Un culto che all'Italia diede una seconda gloria,
quella delle arti, e il primato sul mondo, quando la politica la
cancellava col sangue dal catalogo delle nazioni. Se aggiungi l'essere
più vicino il rimedio, anzi nel cuore, troverai le ragioni onde Iddio vestì
la grazia che concesse alla nostra patria di rimaner nell'arca ov'è la
sicura salute.
Molti però aderivano ai nuovi teologanti, condotti o dal febbrile
aspirare a perigliose novità e da smania di farsi nome, o da paura di
sembrare attardati nel comune movimento, o da imitazione. Non pochi
allettati dallo specioso nome di riforma, che sì spesso significa
rivoluzione e che vieppiù lusingava quando la Chiesa congregata non
aveva ancora tolti in esame i fondamenti delle controverse dottrine. Chi
del diffondersi dei nuovi dogmi in Italia più volesse sapere, ricorra allo
Schelornio, al Gerdesio, ad altri, con questo però di crederli a riserva,
giacché per leggerissime ragioni pongono della loro taluni, che non
cessarono d'essere fedeli cattolici. I novellieri, come Masuccio
Bandello, il Poggio, il Sacchetti, il Lasca, ridondavano di burle sul
clero. I poeti, dall'iroso Dante fino al bizzarro Ariosto, avevano
bersagliato i papi. Uomini di gran senno e gran virtù palesavano la
necessità di togliere ai Riformati il maggiore pretesto col levare dalla
Chiesa gli abusi. E tutti costoro, e il Bembo, il Trissino, il Flaminio,
altri ed altri, furono dai protestanti contati come eretici, benché
sapessero abbastanza che per riformare non è mestieri distruggere, e
che le riforme opportune e durevoli devono venire dall'amore, non dalla
collera, dall'autorità che dirige, non dalla violenza che tumultua(7).
Noi limitandoci a riferire ciò che riguarda il paese di cui trattiamo, o a
cui siamo recati da questo racconto, diremo come fra le masnade
alemanne, che calpestarono l'insanguinato terreno di questa povera
patria
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