all'uscio.
Io udiva così Lidia muoversi nella sua camera; il fruscìo
dell'accappatojo sciolto e cadutole ai piedi, facendole cerchio, e
dell'accappatojo raccolto su una sedia; lo scricchiolìo del letto che
accoglieva il corpo leggiero; un fievole colpo di tosse.
--Sergio!--chiamò la voce di Lidia.
Non so perchè, l'essersi ella coricata diede ad entrambi maggiore
sicurezza. Lidia medesima sorrideva, guardandomi rientrare, sebbene si
fosse accuratamente volte intorno le coperte fino al collo; aveva spinta
la poltrona accanto al letto.
--Il mio posto?--domandai, restando in piedi.
--Il tuo posto è lì,--ella rispose accennandomi cogli occhi la poltrona.
--Ma qui avrò freddo!--mormorai.
--Nel mese di giugno!--esclamò Lidia.--Prova.
--Proviamo.
Il posto non era brutto, sebbene non fosse il migliore. La testa di Lidia
circondata,--aureola giovanile,--dai capelli biondi, gli occhi vividi, e
quell'indefinita sola bianchezza della carnagione, propria dell'età più
bella, m'apparivano ben lumeggiati, precisi. L'astuzia d'avvolgersi
diligentemente nelle coperte, dovuta al pudore, non aveva sortito il suo
effetto, perchè le forme di Lidia si determinavano con procace evidenza
e se la fanciulla non fosse stata volta sul fianco, le coltri sottili
avrebbero delineato anche il seno.
--Sarebbe possibile,--dissi,--baciare una tua manina?
--Possibile,--rispose Lidia, sporgendo la mano destra con un sorriso.
La breve camicia lasciava il braccio nudo. Vidi passar negli occhi di
Lidia il quesito insolubile di darmi la mano coprendo il braccio; ma
cedette all'inattuabilità di tale disegno; nel movimento un po'
precipitoso, le coltri si smossero, ed io le rattenni, e per stabilire e
mantenere l'insperato vantaggio, rapidamente dalla poltrona passai sul
fianco del letto, mentre istintivamente Lidia si ritraeva facendomi
posto.
L'atto riuscì seducentissimo nella sua schiettezza; la cortesia femminile
dominava la verecondia per un lampo e si faceva incontro alla dolce
necessità di cedere. Vidi e compresi, e la improvvisa intelligenza di
quel moto mi provocò un brivido lungo.
Non ero più nè ilare, nè tranquillo; consapevole d'una veniente tristezza.
Il mio amore invadeva l'animo con tale veemenza, da sgominarlo, e
farlo debole. Sorgeva misteriosa e meglio che da qualunque legge, da
quella verginità, tutta profumo e sorriso, ch'io stava per distruggere,--la
comprensione di quanto io doveva alla fanciulla sacrificata.
All'ultimo baluardo, invece del goloso desiderio, io incontrava una
tenerezza mesta ingiustificabile, da avaro innanzi al tesoro lungamente
accarezzato. L'avaro non avrebbe voluto spenderlo, avrebbe voluto
aspettar tuttavia, gioirne tuttavia, promettersi e negarsi la frenetica
sensazione di tuffar le mani nell'oro, forse meritarsela di più.
Io soffriva dell'attimo fuggente e dell'irreparabilità della conquista.
Passai adagio le braccia sotto il busto di Lidia, attirandola a me. Ella
teneva gli occhi chiusi e il suo pallore mi spaventò.
--Anima,--susurrai,--soffri?
--No,--rispose Lidia, aprendo gli occhi.
La luce delle due lampade si projettava troppo intensa. Lasciai Lidia e
smorzai quella ch'era sulla tavola; ora la penombra si faceva tutelare e
propizia; ma tornando al mio posto, di nuovo il pallore della fanciulla
mi spaventò. Ella mi guardava smarrita, e un'agitazione ch'era male
vero, cresceva in lei, le pulsava nel petto, nelle arterie, moltiplicandone
il ritmo. Tentò di togliersi alla mia stretta e si trovò sùbito libera. Erta
sul busto, colle braccia rigide che le facevano sostegno, rimase un
attimo indecisa.
--Ho paura!--esclamò poi.--Non per te, Sergio, ma ho paura!
Perdonami!
Le salivano convulsi alla gola singhiozzi senza lagrime; chino su di lei,
le mie mani sentivan le ciocche de' suoi capelli, morbide e lisce,
disordinate per il guanciale. Non osavo muovermi nè parlare; lucide,
lancinanti, memorie di spose morte così fra i primi amplessi del marito,
mi si piantarono nel cervello. Ma come ella avesse intuita la mia
angoscia superiore alla sua, Lidia mi gettò le braccia al collo.
--Perdonami!--disse nuovamente.--Ho paura!
Noi ci cercammo le labbra, e al caldo contatto infine le lacrime di Lidia
proruppero, mi caddero brucianti sulle mani, chiamarono le mie; la crisi
quietò Lidia a poco a poco, lasciandola colla testa sul mio petto, gli
occhi chiusi, da' cui angoli scorrevan deliziosissime e infantili le
lagrime. Non so quanto così rimanessimo, vittime d'un arcano fascino.
Quasi sentivamo i gravi silenzi della casa circondarci lentamente e
addormentarci la coscienza dell'ora. Tutt'e due sulla soglia d'una felicità
agognata, rimanevamo titubanti, malinconici e paurosi, perchè nulla più
del presente doveva tornare. Ella s'era distesa nel letto, quasi calma; io
la baciava adagio sui capelli, sugli occhi, sulla bocca, sul collo, sulle
mani, naufragante in un'onda voluttuosa. L'avaro assaporava il suo
tesoro che aveva anima e forma, e si sferzava col ricordo di tutte le
caducità umane per togliersi al pazzo bisogno di serbare il tesoro
intatto.
Quindi, la fanciulla ridivenne fiduciosa. E così l'attimo fuggente si
dileguò.
III.
Parecchi anni addietro, al buon signor Pfaff, io aveva domandato un
giorno:
--Perchè non mettete un'epigrafe sul vostro ricovero di pace e di salute?
Il signor Pfaff m'aveva guardato senza rispondere, ed era stata la figlia
a spiegargli il mio concetto.
La signorina Silesia Pfaff, dopo
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