Il Designato | Page 2

Luciano Zuccoli
alla sua opera, una
varietà mirabile.
Non è certamente un autore monocorde colui che vicino a questo può
allineare altri dieci volumi, in cui ciascun personaggio ha una figura
sua propria; dieci volumi nei quali sfilano i tipi di tutte le classi sociali,
dall'aristocrazia al popolo minuto, dal superbo patrizio del _L'amore di
Loredana_ ai ladri e ai teppisti della _Compagnia della Leggera_, dalla
candida fanciulla di certe sue novelle alla donna ardente, volitiva,
disdegnosa, che è la protagonista di _Farfui_, dal bambino ingenuo al
libertino inquieto e curioso, dal soldato fanfarone e generoso al
trionfatore freddo, taciturno e senza pietà. Mille sono i tipi che lo
Zùccoli ha animato della una arte, e quelli che popolano Il designato

hanno un carattere di realtà e un rilievo indimenticabili.
In lui la fantasia lotta di continuo con l'istinto d'osservazione e con
l'amore del vero; la sua fantasìa ricca, bizzarra, agilissima, lo
inviterebbe all'opera dì pura imaginazione; e non è detto che un giorno
non ci dia il libro «libero» senza freni, tutto fantastico. Già nella
Roberta molte pagine segnano la vittoria di questa facoltà poderosa
d'imaginare e di staccarsi dal vero quotidiano per darci sensazioni
nuove. In questo, lo Zùccoli è un osservatore coscienzioso e un artista
calmo, che sa già la scaltrezza dell'arte sua, e che è tuttavia sincero e
ardito come sempre.
Il successo incontrato da questo volume fin dal suo primo apparire, ha
consigliato gli editori a farne la presente ristampa, che l'autore ha
riveduto attentamente e ritoccato in più parti; e noi siamo certi che il
favore del pubblico e della critica gli sarà nuovamente e più largamente
accordato, oggi in cui lo Zùccoli col trionfo dei suoi ultimi volumi è
entrato a far parte di quel ristretto numero di scrittori che si ammirano
più presto che non si discutano.
S. T.
Ottobre 1910.

IL DESIGNATO

PRIMA PARTE.

I.
Nel salotto non c'ero che io; io, in piedi, nell'atteggiamento
nervosissimo dell'aspettazione, guardando dei quadri di cui conoscevo
tutto, l'autore, il tema, il valore artistico, la provenienza, la data in un
angolo.
Geltrude, la cameriera, entrò dallo studio e mi disse:
--Il signore ha una visita; ma si sbrigherà sùbito, e la prega di
pazientare un istante.--
La cameriera attraversò la sala ed uscì dalla porta che metteva al
sèguito dell'appartamento: io mi posi a sedere sul divano color foglia
morta. Vecchio salotto, dove regnava un ordine insoffribile, quello del
signor Pietro Folengo! V'era lo scaffaletto da ninnoli, con dei minerali
preziosi e degli uccelli imbalsamati; v'era il piano, a coda; v'era la

tavola con dei mostri cinesi, degli albi di famiglia e dei libri regalati dai
giornali cui il signor Folengo era abbonato; v'eran quegli oggetti e quei
mobili volgari, che disposti in qualunque modo, messi sotto qualunque
luce, formano sempre un solo tipo di casa, producono sempre una sola
impressione. Tuttavia, dopo i quadri, io passava in rivista
accuratamente quelle cose notissime, rilevando la maniera sciatta con
cui le si eran collocate, e così ligia alle regole di riscontro ch'io mi volsi
per vedere se non vi fossero anche due caminetti, l'uno di faccia
all'altro.
Il gusto informatore della disposizione era indubitabilmente del signor
Pietro Folengo; e il visitatore meno atto all'osservazione poteva
giudicare che il padrone di casa doveva essere inclinato meglio alle
cifre che alla meditazione, meglio al commercio che all'arte; se poi, di
questo padrone si guardava il ritratto--attaccato alla parete principale e
naturalmente di fianco a quello della sua signora e, più naturalmente, al
disopra di quel di sua figlia,--il signor Pietro Folengo appariva, senza
speranza alcuna, ragioniere, amministratore; uno di quei terribili
uomini i quali vi parlan della Borsa, dei corsi d'acqua, d'edilizia e di
cambiali, allo scopo di divertirvi. Il signor Folengo aveva una
fisonomia senza significato, per natura e per arte; poichè s'era lasciato
crescere i favoriti, lunghi e bianchi, che lo facevan rassomigliare a
centinaia d'altri, servitori o ministri, cocchieri del vecchio stampo o
ambasciatori e plenipotenziarî: sulla sua fronte, non troppo alta, ma
levigata come di marmo, nessun pensiero aveva fatta presa; la
computisteria gli era stata leggiera; egli ignorava perfettamente
l'esistenza di Dante e di Raffaello.
Dallo studio venivan le voci del visitatore e del Folengo; la prima,
tenue come d'un implorante, la seconda, calma, con chiaroscuri studiati,
che indicavan gl'incisi dei quali il Folengo usava abbellire il discorso;
ad ora ad ora giungeva anche il fruscio di carte spiegate; qualche colpo
di tosse, che aveva un perchè; finalmente udii che il visitatore si
congedava, col solito: «Allora, siamo d'accordo; io le farò avere i
documenti....» La porta che dallo studio metteva all'anticamera s'era
chiusa dietro le spalle dell'incognito; la porta che dallo studio metteva
al salotto dov'io mi trovava, veniva aperta per dare adito al signor
Folengo.
Io m'era alzato. Il signor Pietro, basso
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