I moribondi del Palazzo Carignano | Page 5

Ferdinando Petruccelli della Gattina

modo suo. Mi ferma la testa in un mezzo cerchio di ferro, onde io non
muovami. Mi si prega di restare immobile; e, di botto un grande occhio
nero e lucido si divarica dinanzi a me, che divora la mia persona.
Quell'occhio fascinatore, vampiro, mi dà il brivido--io resto come preso.
Tutto ad un tratto, una testa sbuca fuori di sotto di un panno verde,
all'altra estremità dell'occhio ironico che mi aveva fissato per due
minuti, e quella testa soddisfatta sclama:
--L'è fatto! grazie, signore..
Io respiro. Io mi sento sollevato da una inquietitudine, ed a passo
frettoloso me ne torno alla Camera. Qualche giorno dopo, io discerno
nelle mostre di un cartaio qualche cosa, cui l'etichetta scritta di sotto
assicura di essere io. In quella cosa io non ho occhi, la mia bocca
smorfia di traverso, non si distingue il mio naso dalle mie orecchie....
non importa! il venditore della mia laidissima figura giura che l'è
proprio la mia.
--Corbezzoli! che volete voi dunque per un ritratto gratuito, alla fine?
grida mia moglie.

--L'è giusto, signora, replica il mio vicino. La vanità o la bonomia
consigliano talvolta delle ben grosse scioperaggini! La seduta comincia.
Il mio sarto mi ferma nell'anticamera per domandarmi un biglietto per
la tribuna dei diplomatici: quegli per chiedermi conto della salute del
Ministero e del Governo: questi per assicurarmi che fa caldo o freddo.
Poi chi si raccomanda per essere raccomandato al ministro, ed ha
percorse trecento leghe per ciò. Altri mi propongono una sottoscrizione
per un'opera pia, il sollievo delle vittime cristiane del Giappone, per
esempio! o un incoraggiamento a dar ad un signore il quale ha
inventato il concime profumato. Un terzo m'impegna a prendere un
viglietto per un berretto da notte lavorato dalla signora duchessa e
messo in lotteria a benefizio dei tisici del Brasile. Un quarto mi passa
dodici viglietti per la serata di un'artista.... Dio mi perdoni! si è venuti
perfino a propormi di far la conoscenza di una ballerina, alla modesta
ragione di dieci napoleoni le ventiquattro ore! Io caccio storditamente
questa istanza nella saccoccia: mia moglie la ritrova.... Voi capite il
resto.
--Non avevate proprio nulla a rimproverarvi, eh! domanda ridendo la
mia incorreggibile moglie.
--Innocente come Gesù Cristo, signora! replica il mio vicino ridendo
anch'esso. Ma la seduta è cominciata. Io ho la parola. Il subjetto è grave.
Io ho bisogno di raccogliere le mie idee, di tenere la mia attenzione
concentrata. Un usciere viene a mettermi sotto il naso la sua coppa
all'acqua zuccherata, e m'interrompe. I miei vicini parlano a voce alta. I
miei colleghi, alle spalle, mi suggeriscono delle considerazioni, che io
non sollecito e che frastornano l'ordine dei miei pensieri. I miei colleghi,
di sotto, vanno, vengono, rimuovonsi, leggono i giornali e mi
confondono, mi forviano. Il presidente strimpella col suo campanello.
Gl'intolleranti interrompono. Si rumoreggia, si strepita, si
sbadiglia--ohimè! si sbadiglia--ciò che è la più oltraggiosa di tutte le
opposizioni. In verità, io non so come un deputato possa combinar due
idee di seguito in mezzo a questo frastuono. Io mi sieggo alla fine,
stanco, scontento. Un usciere mi annunzia che qualcuno chiede di me.
Vo: il signore, fastidito di attendere, è ito dicendo, che io mi sono un
mal creanzato. Rientro, si vota. Un usciere mi rimette un viglietto di

visita. Non posso uscire. All'indomani ricevo una lettera di rimproveri:
ho perduto un amico! infine si passa ai voti. Nell'emiciclo gli zelanti
della maggioranza mi camminano sui calli dei piedi, perchè si ha fretta.
Sono le sei. Gli onorevoli hanno fame. Anche io corro a casa spossato,
ansante.... mia moglie porta il broncio, i miei bimbi piangono, la mia
fante borbotta che il suo pranzo è ito a malora.... la minestra è fredda!
--Ma perchè arrivate voi così tardi, infine! dice mia moglie per
stuzzicare. Quando si apparecchia per le sei e si vuol poi mangiare alle
sette!...
--Poffar Iddio! signora, esclama il mio vicino impaziente; è colpa mia
se il signor Valerio ha cominciato a parlare alle cinque? Per me, ne ho
le mascelle dislogate! Infine, ingollo la mia pappa, e respiro. Mi si
presentano, col caffè, delle lettere arrivate dalla Camera. È il signor
presidente, il quale in nome di S. M. m'invita al ballo a corte e mi
domanda il nome di nascita di mia moglie, se mi piace condurla meco.
Figuratevi un po', miei cari, l'imbarazzo di un povero diavolo che abbia
una moglie nata, per esempio, Troia, Porcella, Vacca! Figuratevi il
dispetto di un uomo che abbia sposato la sua cuciniera o si sia
semplicemente maritato alla leggiera, a passo di carica! Andate poi a
persuadere ad una donna, dopo questo invito, che si debba rinunziare
all'onore di ballare da S. M.! Di qui, delle baruffe, del dispetto.... E poi,
infrattanto che il signor deputato difende alla Camera
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