cominciava a borbottare madama.
--Nondimeno, tutto questo non è nulla, dice il mio vicino. Si va come si
può. Eccomi quindi installato. Io che amavo tanto a vaneggiare, a rever
nel mio letto il mattino, alle sette sono ora in piedi. Il mio portinaio mi
porta su una intimazione del mio uffizio onde mi renda quivi alle dieci
e mezzo per discutervi, se il comune di Monmilone ha il dritto di
riunirsi al comune di Monmiletto. E poi prendere in considerazione,
che so io? la legge sulla instituzione delle colonne Vespasiane a Napoli,
che è piaciuto ad un Baldacchino o ad un De Cesare qualunque di
presentare all'onorevole Parlamento. La lettura di questa roba, condita
di sbadigli da scantonare Palazzo vecchio a Firenze, mi ruba un'ora. Poi
me ne vo.
La mia prima visita è alla posta. Vi trovo in media da quindici a venti
lettere ed una dozzina di giornali. Le lettere che noi riceviamo non
pagano nulla: noi paghiamo invece quelle che spediamo, ciò che
occasiona una spesa di due o tre lire al giorno. Siano due lire: e
cominciamo la lettura.
--Vediamo! sclama mia moglie.
--Sì signora, il conte Coletti, in casa del quale io passai, dodici anni fa,
una notte, essendo in viaggio, si ricorda di me e mi domanda che gli
faccia ottenere un posto di Maggiordomo maggiore di S. M. Vittorio
Emanuele II, il re riparatore. Il signor conte occupava lo stesso posto
alla Corte dell'ex principe! Io rispondo che re Vittorio è un gran
borghese, il quale non ha di queste funzioni nella sua Corte. Il signor
conte replica, che io sono un ignorante ed un ingrato.
Il signor Ribaldi, mio elettore che ha votato pel mio competitore!--mi
scrive per dirmi che l'Italia se ne va, che il barone Ricasoli è un balordo,
che la maggioranza è assurda, che la minoranza va a tastoni, che il
ministro de Sanctis non capisce niente. Io rispondo che l'Italia non se
ne va, perchè è stazionaria; che il signor Ricasoli è un galantuomo, che
la destra fa il suo mestiere e la sinistra quello che può, e volendo esser
cortese, per non aver l'aria di contrariare in tutto il mio elettore,
ammetto che, quanto a De Sanctis, e' potrebbe al postutto avere un
tantin di ragione. Il signor Ribaldi replica: che io sono sulla china di
bassare le armi al Ministero.
Il signor curato mi domanda una sovvenzione per il campanile del suo
villaggio, il quale non gli pare così compito come quello della
Cattedrale di Milano.
Il signor mio compare mi prega di sollecitare appo i ministri certe
petizioni che e' si dette la pena d'indirizzar loro. Il mio compare fu
ritenuto per ventiquattro ore al corpo di guardia, nel 1848, e da quinci
in poi egli si reputa furiosamente martire. E come egli ha ogni specie di
capacità, così domanda a questo ministro una carica di presidente della
Corte di Cassazione, a quello un posto di consigliere di Stato, a
Ricasoli di esser prefetto, a Bastogi di essere direttore, a De Sanctis
infine, non volendo gran che onorare così piccolo ministro, chiede una
cattedra per insegnare il dialetto del suo villaggio, cui egli crede una
lingua primitiva. Io rispondo al mio compare che le sue domande sono
tutte modestissime e perfettamente scusate, ma che non ci sono posti
per il momento. Il compare replica che io non ho nè mente nè cuore,
che quanto a me sono soddisfatto e non mi curo più dei martiri.
E poi le lettere anonime che c'insultano a grossi fiotti: le lettere che ci
danno consigli: le lettere che ci minacciano. Ma non ve n'è una la quale
infine non c'incarichi di domandare qualche cosa o di fare qualche
istanza presso dei ministri! Il deputato è il domestico naturale--la serva
ad ogni occorrenza dei suoi elettori!
Ma come fra tante avidità vi è sempre qualche lamento ragionevole, dei
torti a far riparare--l'estenuante bisogna negli uffici terminata--eccomi
in volta per i ministeri. I colleghi, le persone indifferenti che veggono
un deputato in quelle anticamere lo guardano di una maniera
significativa; e se il deputato siede alla sinistra, un mormorio bisbiglia
che significa: non vel diceva io? egli emigra!
Il ministro, dal canto suo, mi riceve con un sorriso fino e sarcastico
sulle labbra. Egli è cortese--troppo cortese--mi fa degli elogi che hanno
l'aria di un rimprovero--perchè il giorno innanzi io lo aveva attaccato a
fondo. Egli si mostra sollecitissimo a darmi soddisfazione. È
impossibile di essere più amabile, più semplice, più bravo uomo, più
insinuante, più piaggiatore. Egli mi dà perfino ragione sulla giustizia
dei miei attacchi!
Un uomo forte si rileva contro queste trappole di cortesia perfida, e non
lascia il suo andazzo. Ma gli uomini forti son dessi numerosi? Prendete
su un buon borghese, il quale piova dritto dal fondo della
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