I moribondi del Palazzo Carignano | Page 2

Ferdinando Petruccelli della Gattina
topi della rettorica. Io persisto nella mia opinione.
--A vostro piacere! sclama il mio vicino sorbendo un sorso di thè.
Quanto a me, io non auguro ad un cane di canonico le piccole e grandi
miserie della vita di un deputato.
--Ma quali dunque, Dio mio, quali dunque? domanda mia moglie
gittando la sigaretta nel fuoco. Voi andate ai balli di corte; voi andate
alle ricezioni del barone Ricasoli; voi partecipate a taluni pranzi
diplomatici, a certi banchetti nelle grandi occasioni. Voi siete invitati a
tutte le feste. Voi viaggiate gratuitamente. Voi non pagate spese di
posta. La vostra medaglia in oro è un passa-pertutto, generalmente
rispettato. Voi non potete essere giudicati per tutto il tempo che dura la
sessione.--Voi potete fare dei debiti, si fa credito a un deputato! Il
telegrafo trasporta il vostro nome in tutti gli angoli del globo, ove
stampisi un giornale. Voi avete un palazzo principesco per andarvi a

leggere i giornali, parlare, fumare--senza parlare dell'acqua zuccherata
a discrezione e, durante le sedute, ben anco dei liquori. Voi siete ben
riscaldati. Voi avete una biblioteca. Le ballerine del Teatro Regio sono
ghiotte di deputati, perchè avete la riputazione di gente ricca e non
taccagna. Vi domandano a fare il vostro ritratto per nulla. I giornali non
parlano che di voi, come del fiore della nazione. Anche la caricatura vi
tratta con riguardi, vedete Ricciardi! Siete indicati a dito quando
passate per le strade. Il vostro Presidente vi regala di raout, donde, egli
è vero, sono escluse la gajezza, le donne ed i rinfreschi confortevoli, ma
dove sono ammessi il sigaro, i canonici ed i guanti sporchi. Voi
troneggiate nel vostro circondario elettorale. Vi si danno dei banchetti,
trascinano a braccio la vostra vettura, vi fanno dei toast. Voi potete
perfino accomodarvi un ricco matrimonio! facendo valere la possibilità
d'essere un giorno ministro, o il favore di un ministro. In una parola,
voi siete una potenza, una forza, un favorito, una gloria.
--Ah! signora, sclama con un sospiro il mio vicino, voi mi fate
rimpiangere sempre più che le donne siano escluse dall'onore di
rappresentare la nazione. Io vado adunque a raccontarvi una giornata
della mia vita, perchè voi venite di abozzare un quadro sì fresco, sì
raggiante di felicità. Si direbbe che voi leggete avidamente nel poema
della vita di qualche deputato della maggioranza. Voi traducete
liberamente Poerio, Massari, Caracciolo, e chi so altro. Ebbene, signora,
obliate l'oasis, e percorrete il deserto.
Il mio vicino riempì la sua tazza di thè e continuò:
--Di ritorno dall'esilio, io mi occupavo a ristaurare la mia fortuna
intaccata al vivo e ad accomodarmi con creditori e debitori. Nel
frattempo, la mia penna andava, andava sempre, metteva giù di tutto,
toccava all'America, all'Inghilterra, alla Francia, alla Russia, all'Italia.
La mia penna era il mio feudo il più reale, e mi produceva diecimila lire
all'anno, senza pagare un soldo d'imposte al rapace signor conte
Bastogi. Poi indrogavo i miei malati nelle ore di ozio. Tutto contato,
installato ove io mi ero, il mio piccolo cervello mi metteva in misura di
rosicarmi quattordici o quindicimila franchi l'anno.
--Mica male! sclama mia moglie sorridendo.

--Non molto, no! continua il mio vicino, ma in fine, per un uomo che
aveva vissuto Dio sa come nell'esilio per parecchi anni, questa piccola
rendita era il riposo, l'indipendenza, la comodità. Le elezioni arrivano. I
cittadini del mio villaggio, i quali pensano come voi, signora, sulla vita
dorata di un deputato, credendo farmi onore, e me ne facevano di fatto,
mi nominano loro rappresentante al primo Parlamento italiano.
--Magnifico! l'interrompe mia moglie.
--Certo, signora, certo, continua il mio vicino, ma e' bisognava rendersi
a Torino. Ora, come io non poteva invaligiare e trasportare meco i miei
malati a Torino, ecc., in ventiquattro ore, un terzo del mio reddito
tagliato via.
--Ma la vostra penna? insisteva mia moglie.
--Sicuro, la mia penna era bene nel mio baule, dice il mio vicino; però
essa non aveva più la medesima importanza. La mercanzia ch'essa
produceva non era più dimandata. Là ove io mi recavo i miei
committenti avevano le loro pratiche di già. Ecco dunque, in
ventiquattro ore, un secondo terzo delle mie rendite. L'ultimo terzo
cessava poi anch'esso, perocchè il tempo che io occupavo alle mie
bisogne bisognava consacrarlo alla patria.
Ed eccomi in via per Torino.
--Enfin! sclama mia moglie.
--Hélas! soggiunse il mio vicino. Eccomi anzi a Torino. Gli onesti
abitanti di quella città avevano onestamente quadruplicato il prezzo del
fitto, e bisognava collocarsi con una certa convenienza. Tutti gli oggetti
necessari alla vita erano augumentati. Ed un deputato, perchè deputato,
è taglieggiato con avidità dovunque e da tutti. Dunque, non più rendite,
e la spesa spinta innanzi con la forza di cinquecento cavalli. Ma un
buon cittadino deve ruinarsi per l'amore del suo paese--ciò è nei Credo.
--Hum!
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