che non
levarsi il cappello passando avanti una sacra imagine, si farebbe
ammazzare.
Il secondo è un uomo di oltre quarant'anni conosciuto sotto il nome di
Cacanastri. Costui al mondo passa per un linaiolo, ma il separare le
lische della stoppa non piacendogli troppo, si occupò di frugare con
ispeditezza nelle scarselle altrui; sono vent'anni che fa il mestiero, ed è
sfuggito alle pene dei ladri attesa la sua pazienza di ricevere i colpi dei
derubati che lo hanno còlto in fallo. D'altronde esso pure è pio quanto
l'altro.
Il terzo dei commensali è un giovane imberbe che si diletta spacciare
sfrontatamente anella ed orologi falsi per buoni, truffando in pubblico
ed in pieno giorno, senza che i reclami della gente gabbata producano
la menoma alterazione nelle sue abitudini. Pugilatore intrepido, famoso
giuocatore di carte con sicura vittoria, introduttore in case di dubbia
fama e per ultimo spia: costui si distingueva dagli altri per la facondia,
per le maniere affettate che ha preso ad imprestito dai più famosi
damerini, non che per l'eleganza e per la ricercatezza del suo vestiario.
Esso è laggiù soprachiamato Narciso.
Gli ultimi due offerivano anche maggiori contrasti dei tre da noi
delineati. L'uno in quell'antro era chiamato Bruto, l'altro Catone;
ambedue dell'età di circa vent'anni, avevano tali maniere, tale
fisionomia che gl'indicava appartenenti alla classe più elevata dei
cittadini. Il loro contegno era freddo e severo, e dominavano senza pur
volerlo sugli altri convitati. Bruto alla sua gravità abituale mesceva un
egualmente abituale riso beffardo; Catone faceva pompa di un pretto
cinismo: ambedue ritenevano per certo di essere qualche gran che nel
mondo, e i loro discorsi concentrati facevano spicco di fronte alle
sguaiate balordaggini dei loro compagni di taverna e di tavola. I primi
tre, durante i preparativi della cena, giuocavano al giuoco clamoroso
della briscola e bevevano e bestemmiavano copiosamente e per burla; il
che non impediva ai signori Catone e Bruto di continuare nella seria
discussione di un grave argomento tutto di pubblico interesse.
--Ma verrà? dimandò Bruto al compagno.
--Verrà sicuro, replicava Catone, colui non può mentire alle sue
promesse. È uomo su cui riposa la felicità di tanti milioni d'uomini.
--Ma su cosa spera egli?
--Sul diritto, sulla bontà della causa.
--Armi?
--Ci saranno, ma vuolsi prima porre in bilancia la volontà suprema,
invariabile, eterna.
--Carico a briscola.
--Ti pigli un dolore! urlavano i giuocatori mentre l'uno di essi
rovesciava il mazzo delle carte sul viso dell'altro, e l'offeso rispondeva
vibrandogli contro il boccale del vermutte, che inondò la tavola e
spruzzò i due filosofi; i quali continuando pacificamente,
--La nostra missione durerà un pezzo, ma ci vuole costanza, disse uno
dei sapienti asciugandosi il corpetto e il viso umettati dal caduto
liquore.
--Giuro a D....
--Ti ho un paolo.
--Maladetto Narciso! ubriaco porco, mi hai rubato dieci lire.
--Zitto là, borsaiolo d'inferno; a me dai del ladro? a me? tu, avanzo di
galera? To' questo.--E così dicendo cacciò il Cacanastri sotto la tavola.
--Ahi! ahi! mi hai rotto una costola.
--Una di più, una di meno, sclamò ridendo Topo, poco monta: non è
mica un occhio.
--Cane, interruppe la cuciniera, che tirava il fuoco sotto la padella, cane!
mi fai le corna con Sandrina.
--Dio m'acciechi se è vero, le rispose il ganzo, bella mi.... (E qui non è
lecito ripetere il gentile epiteto dell'amante....) Dio mi acciechi!
Sandrina ha tanti anni quanti il brodetto.
--Ma ha dei quaini*.
* Denari nel vernacolo livornese.
--E che m'importa a me? ho bisogno dei suoi? e che? raccolgo io forse
nespole?---E cavò fuori una manciata di zecchini d'oro.
--Uh belli! da' qua, facciamo la pace.
--Non minchioni? mezzi.
--Li vo' tutti.
--Mezzi to', Concetta.
--Li vo' tutti.
--Pigliali, ruffianella.--
E così dicendo se li rimesse in tasca. La bella, istizzita, lasciò il manico
della padella, la quale sdrucciolando si empì di cenere.
--Accidenti! gridò la vecchia, mi tocca tutto fare da me.--
E rialzando l'utensile, vi ricacciò il fritto ceneroso.
--Qual deliziosa innocenza di costumi! mormorò Bruto conservando
tutta la gravità dottorale.
--Sicuramente, replicò Catone, ed è perciò che la plebe dee trionfare
nella grande lotta.
--Oh bei tempi di Cincinnato!--E guardò non volendo Topo.
--Cincinnato? parla meglio, Bruto, prese a dire Topo. Io non voglio altri
soprannomi, o ti taglio la gola.--E levò fuori il formidabil coltello.
--Animo, ragazzi, gridò infuriato il padrone dell'osteria, destandosi dal
grave sonno ed alzandosi di sopra d'un canile che era nella stanza. Non
fate chiasso, lasciate riposare i galantuomini: voi, sapienti, continuò,
avete la ruzza; eh! lo credo; a te, Bruto, non mancano persone da
imbrogliare, carta da insudiciare, matasse da arruffare; e tu, Catone, hai
buon babbo che ti fa le spese: di voialtri canaglia è inutile discorrere,
chè il denaro non sapete cosa vi costa ed avete la zizzola allegra; ma io
pover uomo ho
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