I demagoghi | Page 4

Cesare Monteverde
guardie, le ronde, gli esercizi e per giunta quel maledetto
caprone....--
Marco passeggiava da più di mezz'ora sulla piattaforma del forte: dopo
d'essersi assicurato di avere al collo il suo rosarino, se ne stava un poco
più tranquillo: egli guardava sul mare, che in quella sera quietissimo
rifletteva i raggi della luna; più lungi sulla dorata superficie delle acque
le nere moli dei navigli ancorati alla rada con le loro antenne disegnanti
altrettante linee scure nel cielo sereno, da un lato gli scogli pur essi neri
cui il barlume del cielo dava mille forme bizzarre; quindi il molo, le
circostanti fortezze e parte della città, sepolta nel silenzio e nella quiete.
Se il nostro Marco fosse stato un poeta, chi sa quali versi gli avrebbe
ispirato la magnifica scena di cui era spettatore? ma egli era contadino
e recluta, e trovava più poesia nel ricordo delle serate in cui faceva i
panieri al podere di Montemassi che in quel panorama il quale gli si
parava dinanzi. Sulla punta delle dita ei contava i minuti che gli
restavano a passare in fazione, e già si rallegrava al pensiero di
ritornare al guardiolo e scaldarsi al braciere stendendosi sul pancaccio,
quando.... (mirate un poco se aveva disgrazia sì o no): quando in un
naviglio ad alberatura latina ancorato ad un quarto di miglio dal forte

parvegli di scorgere un lume il cui raggio strisciando sul livello delle
acque era venuto a riverberargli sulla lucida canna del fucile che aveva
in braccio. Marco seguì coll'occhio quel lume, che si mosse e si calò al
fianco del naviglio: la mercè di questo lume, il nostro milite riuscì a
vedere un corpo di non gran volume il quale dal naviglio passò in una
barca assai sottile che stavagli a tribordo; questa barca, leggiera
leggiera, scivolando sulle onde, staccossi dal bastimento e si diresse in
una linea retta verso il forte. Il nostro Marco non vide più il lume, ma i
suoi sguardi non potevano staccarsi dalla barchetta, la quale pareva
contenere un solo remigante, di cui per altro non bene distinguevasi la
figura. Giunta che fu a circa cento braccia dal lido, la barca si fermò
come arenata sulla sabbia.
Questo è un contrabbando, pensò Marco, e alzò il cane del suo
archibuso gridando: Chi vive? Nessuno rispose.
L'ho detto io, ripetè fra sè, è un contrabbandiere; ma per mia fè gli
voglio fare scontar la paura di quest'ora di fazione.
--Chi vive? ripetè; e levatosi il fucile dal braccio, se lo pose alla spalla.
--Chi vive? finalmente urlò e prese di mira l'individuo, che,
abbandonati i remi della barchetta, sembrava disposto a saltare in mare
profittando del basso fondo. Non avendo Marco udito risposta, si
accinse al suo dovere e già toccava lo scatto del fucile: un solo minuto
secondo, ed era bella e finita pel misterioso guidatore della barchetta,
poichè Marco era buon tiratore; ma ahimè! la luna, uscendo
limpidissima dalle nuvole, aveva permesso all'occhio di Marco di
discernere colui sul quale stava per esplodere.... e chi era desso? Un
caprone; sì, un caprone più alto di tutti i caproni del Tibet, con ramose
corna, con barbigi e quant'altro forma la razza lanuta dei capri. Marco
di uomo divenne una statua, l'occhio suo rimase come petrificato
nell'orbita; egli stesso in tutta la persona sentì gelarsi il sangue; il dito
s'inchiodò sullo scatto, non gli fu possibile alcun movimento, e solo di
vita gli restò la facoltà di vedere, e troppo ei vide. Il capro, senza darsi
il menomo pensiero della canna del fucile diretta in linea del suo capo,
tranquillamente balzò nelle acque, si accostò al basso muro, lo scalò
come cosa a lui facilissima, rasentò il margine del fosso di Santa

Trinità e quindi fu perduto di vista allo sbocco dello scalo del ponte
della Crocetta, Poco dopo suonò mezzanotte; il soldato che venne a
dare la muta al povero Marco lo trovò tuttavia immobile, coll'archibuso
in atto di far fuoco; e quando lo trassero di là, egli parlava come un
demente, non avendo per altro schiuso la bocca se non se dopo molte
ore, allorchè in grave pericolo di vita riprese i sensi allo spedale di
Sant'Antonio.
Durante le ore in cui e Marco e i militi di guardia alla fortezza vecchia
alternavano la scolta e la stanzetta del guardiolo, una scena ben diversa
accadeva nel quartiere della Venezia nuova da noi accennato e
precisamente all'osteria dei Tre Mori, posta nel vicolo che dalla
Crocetta mette alla via di Sant'Anna, via remota, solinga, del peggio
quartiere di Livorno, dove un galantuomo non può passare pei fatti suoi
nella notte senza pericolo di essere gratuitamente sventrato, e di giorno
senza che gli sia rubata la pezzuola, l'oriuolo o la borsa.
L'osteria dei Tre Mori non aveva insegna e nè anche la frasca
indispensabile ai
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