star allegro se non quando �� con voi. Di pi��, non �� mai giorno che non passi mille volte per questa strada dinanzi alla sua casa.
DON FLAMINIO. Io non ve l'ho incontrato giamai.
PANIMBOLO. Deve tener le spie per non esservi c��lto da voi; e quella arte, che voi usate con lui, egli usa con voi. Ma io vi giuro che quante volte m'�� accaduto passarvi, sempre ve l'ho incontrato.
DON FLAMINIO. Oim��, tu passi troppo innanzi, mi poni in sospetto e m'ammazzi. Ma come potrei io di ci�� chiarirmi?
PANIMBOLO. Agevolissimamente: subbito che l'incontrate, diteli che il conte �� contento dargli li quarantamila scudi purch�� la sposi per questa sera; e se non trover�� qualche scusa per isfuggir o prolungar le nozze, cavatemi gli occhi.
DON FLAMINIO. Dici assai bene; e or ora vo' gir a trovarlo e fargli l'ambasciata.
PANIMBOLO. Ascoltate: dateli la nuova con gran allegrezza e mirate nel volto e negli occhi, osservate i colori--ch�� ne cambier�� mille in un ponto: or bianco or pallido or rosso,--osservate la bocca con che finti risi; in somma ponete effetto a tutti i suoi gesti, ch�� troverete quanto ve dico.
DON FLAMINIO. Cos�� vo' fare.
PANIMBOLO. Ma ecco la peste de' polli, la destruzione de' galli d'India e la ruina de' maccheroni!
SCENA III.
LECCARDO parasito, PANIMBOLO, DON FLAMINIO.
LECCARDO. Non son uomo da partirmi da una casa tanto misera prima che non sia cacciato a bastonate?...
PANIMBOLO. (Leccardo sta irato. Ho per fermo che non ar�� leccato ancora, ch�� niuna cosa fuorch�� questa basta a farlo arrabbiare).
LECCARDO.... �� forse che debba soffrir cos�� miserabil vita per i grassi bocconi che m'ingoio: una insalatuccia, una minestra de bietole come fusse bue? bel pasto da por innanzi alla mia fame bizzarra!...
PANIMBOLO. (Ogni sua disgrazia �� sovra il mangiare).
LECCARDO.... Digiunar senza voto? forse che almeno una volta la settimana si facesse qualche cenarella per rifocillar i spiriti!...
DON FLAMINIO. (L'hai indovinata: non ha mangiato ancora).
LECCARDO.... Per�� non �� meraviglia se mi sento cos�� leggiero: non mangio cose di sostanza....
DON FLAMINIO. (Lo vo' chiamare).
PANIMBOLO. (Non l'interrompete, di grazia: dice assai bene, loda la largit�� del suo padrone).
DON FLAMINIO. Volgiti qua, Leccardo.
LECCARDO. O signor don Flaminio, a punto stava col pensiero a voi!
DON FLAMINIO. Parla, ch�� la tua bocca mi pu�� dar morte e vita.
LECCARDO. Che! son serpente io che con la bocca do morte e vita? La mia bocca non d�� morte se non a polli, caponi e porchette.
PANIMBOLO. E li d��i morte e sepoltura ad un tempo.
DON FLAMINIO. Lasciamo i scherzi: ragionamo di Carizia, ch�� non ho maggior dolcezza in questa vita.
LECCARDO. Ed io quando ragiono di mangiare e di bere.
DON FLAMINIO. Narrami alcuna cosa: racconsolami tutto.
LECCARDO. Ti sconsoler�� pi�� tosto.
DON FLAMINIO. Potrai dirmi altro che non mi ama? lo so meglio di te. L'incendio �� passato tanto oltre che mi pasco del suo disamare: di' liberamente.
LECCARDO. Vedi questi segni e le lividure?
DON FLAMINIO. Tu stai malconcio: chi fu quel crudelaccio?
LECCARDO. La tua Carizia me l'ha fatte.
DON FLAMINIO. Mia? perch�� dici ?mia?, se non vuoi dir ?nemica??--Ma pur com'�� passato il fatto?
LECCARDO. Oggi, perch�� stava un poco allegretta, lodava la sua bellezza; ella ridea. Io, vedendo che sopportava le lodi, prendo animo e passo innanzi:--Tu ridi e gli assassinati dalla tua bellezza piangono e si dolgono, ch�� quel giorno che fu festa de' tori innamorasti tutto il mondo!--Ella pi�� rideva ed io passo pi�� innanzi:--E fra gli altri ci �� un certo che sta alla morte per amor tuo!...
DON FLAMINIO. Tu te ne passi troppo leggiermente: raccontamelo pi�� minutamente.
LECCARDO.... A pena finii le parole, che vidi sfavillar gli occhi come un toro stuzzicato, e la faccia divenir rossa come un gambaro. Tosto mi die' un sorgozzone che mi tronc�� la parola in gola; e dato di mano ad un bastone che si trov�� vicino, lo lasciava cadere dove il caso il portava, non mirando pi�� alla testa che alla faccia o al collo. Cadei in terra; mi die' colpi allo stomaco e calci che se fusse stato un ballone me ar��a fatto balzar per l'aria, ingiuriandomi ?roffiano? e che lo volea dir ad Eufranone suo padre.
DON FLAMINIO. Non spaventarti per questo, ch�� le donne al principio sempre si mostrano cos�� ritrose: si ammorbider�� ben s��. Ma abbi pazienza, Leccardo mio, ch�� de' colpi delle sue mani non ne morrai.
LECCARDO. Le tue belle parole non m'entrano in capo e mi levano il dolore e la fame.
DON FLAMINIO. Faremo che Panimbolo ti medichi e ti guarisca.
PANIMBOLO. Io ho recette esperimentate per le tue infirmit��.
LECCARDO. Dimmele, per amor de Dio!
PANIMBOLO. Al gorguzale ci faremo una lavanda di lacrima e di vin greco molte volte il giorno.
LECCARDO. Oh, bene! ho per fermo che tu debbi essere figlio di qualche medico. E se non guarisce alla prima?
PANIMBOLO. Reiterar la ricetta.
LECCARDO. Almeno per una settimana! Che faremo per li denti?
PANIMBOLO. Uno sciacquadenti di vernaccia di Paula o di vin
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