d'amarene.
LECCARDO. Tu ti potresti addottorare. Ma per far maggior operazione bisognarebbe che i liquori fusser vecchi.
PANIMBOLO. N'avemo tanto vecchi in casa c'hanno la barba bianca.
LECCARDO. E per lo stomaco poi?
PANIMBOLO. Bisogna t?r quattro pollastroni e fargli buglir ben bene, e poi colar quel brodo grasso in un piatto e porvi dentro a macerar fette de pan bianco, e accioch�� non esalino quei vapori dove sta tutta la virt��, bisogna coprir ch�� venghino ben stufati, poi spargervi sopra cannella pista, e sar�� un eccellente rimedio. All'ultimo, un poco di caso marzollino per un sigillastomaco.
LECCARDO. Veramente da te si devriano t?rre le regole della medicina. Andamo a medicar presto, ch�� m'�� salito addosso un appetito ferrigno, e tanta saliva mi scorre per la bocca che n'ho ingiottito pi�� de una carrafa. La medicina n'ha reinfrescato il dolor delle piaghe e m'ha mosso una febre alla gola che mi sento mancar l'anima.
PANIMBOLO. Con certe animelle di vitellucce ti riporr�� l'anima in corpo.
LECCARDO. Se fussi morto e sepellito resuscitarei per farmi medicar da voi. Don Flaminio, avessi qualche poco di salame o di cascio parmigiano in saccoccia?
DON FLAMINIO. Orbo, questa puzza vorrei portar adosso io?
LECCARDO. Ma che muschio, che ambra, che aromati preziosi odorano pi�� di questi?
DON FLAMINIO. Leccardo mio, come io so medicar i tuoi dolori, cos�� vorrei che medicassi i miei!
LECCARDO. Non dubitar, ch�� quando toglio una impresa, pi�� tosto muoio che la lascio.
DON FLAMINIO. Vieni a mangiar meco questa mattina.
LECCARDO. Non posso: ho promesso ad altri.
DON FLAMINIO. Eh, vieni.
LECCARDO. Eh, no.
PANIMBOLO. (Mira il furfante! se ne muore e se ne vuol far pregare).
DON FLAMINIO. Fa' ora a mio modo, ch'una volta io far�� a tuo modo.
LECCARDO. Son stato invitato da certi amici ad un buon desinare, ma vo' ingannargli per amor vostro.
DON FLAMINIO. Va' a casa e ordina al cuoco che t'apparecchi tutto quello che saprai dimandare, e fa' collazione; tratanto che sia apparecchiato, ser�� teco, ch�� vo per un negozio.
LECCARDO. Ed io ne far�� un altro e sar�� a voi subbito. (Vedo il capitan Martebellonio. Non ho visto di lui il maggior bugiardo; sta gonfio di vento come un ballone e un giorno si risolver�� in aria. Ha fatto mille arti, prima fu sensale, poi birro, poi aiutante del boia, poi ruffiano; e pensa con le sue bravate atterrire il mondo, e stima che tutte le gentildonne si muoiano per la sua bellezza). Ben trovato il bellissimo e valorosissimo capitan Martebellonio!
SCENA IV.
MARTEBELLONIO capitano, LECCARDO.
MARTEBELLONIO. Buon pro ti faccia, Leccardo mio!
LECCARDO. Che pro mi vol far quello che non ho mangiato ancora?
MARTEBELLONIO. So che la mattina non ti fai coglier fuori di casa digiuno.
LECCARDO. E che ho mangiato altro che un capon freddo, un pastone, una suppa alla franzese, un petto di vitella allesso, e bevuto cos�� alto alto diece voltarelle?
MARTEBELLONIO. Ecco, non ti ho detto invano il ?buon pro ti faccia?.
LECCARDO. Quelle cose son digeste gi�� e fatto sangue nelle vene; ma lo stomaco mi sta v��to come un tamburro. Ma voi adesso vi dovete alzar da letto e far castelli in aria, eh?
MARTEBELLONIO. Ho tardato un pochetto, ch�� ho atteso a certi dispacci.
LECCARDO. Per chi?
MARTEBELLONIO. Per Marte l'uno e l'altro per Bellona.
LECCARDO. Chi �� questo Marte? chi �� questa Bellona?
MARTEBELLONIO. Oh, tu sei un bel pezzo d'asino!
LECCARDO. Di Tunisi ancora.
MARTEBELLONIO. Non sai tu che Marte �� dio del quinto cielo, il dio dell'armi? e Bellona delle battaglie?
LECCARDO. Che avete a far con loro?
MARTEBELLONIO. Non sai che son suo figlio e son lor luogotenente dell'armi e delle battaglie in terra, com'eglino tengono il possesso dell'armi nel cielo? per�� il mio nome �� di ?Marte-bellonio?.
LECCARDO. E per chi gli mandate il dispaccio?
MARTEBELLONIO. Per un mozzo di camera.
LECCARDO. Come? gli attaccate l'ale dietro per farlo volar nel cielo?
MARTEBELLONIO. L'attacco le lettere al collo con un sacchetto di pane che basti per quindici giorni, poi lo piglio per lo piede e me lo giro tre volte per la testa e l'arrandello nel cielo. Marte, che sta aspettando, come il vede, il prende e ferma; si non, che ne salirebbe sin alla sfera stellata.
LECCARDO. A che effetto quel sacco di pane?
MARTEBELLONIO. Ch�� non si muoia di fame per la via.--Marte, avendo inteso gli avisi, spedisce le provisioni e lo manda gi��. Come il veggio cader dal cielo come una nubbe, vengo in piazza e lo ricevo nella palma; ch�� si desse in terra, se ne andrebbe fin al centro del mondo.
LECCARDO. Che bevea? il mangiar il pane solo l'ingozzava e potea affogarsi. O si mor�� di sete?
MARTEBELLONIO. Bev�� un canchero che ti mangia!
LECCARDO. Oh s'�� bella questa, degna di un par vostro!
MARTEBELLONIO. Ti vo' raccontar la battaglia ch'ebbi con la Morte.
LECCARDO. Non saria meglio che andassimo a bere due voltarelle per aver pi�� forza, io di ascoltare e voi di narrare?
MARTEBELLONIO. Il ber ti apportarebbe sonno, ed io non te la ridirei se mi
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