togliesse per moglie, ed io poi per disperato m'avesse
ad uccidere con le mie mani? Ho cosí deliberato; e le cose deliberate si
denno subbito esseguire.
SIMBOLO Ecco don Flaminio vostro fratello.
DON IGNAZIO. Presto presto, scampamo via, ché non mi veggia qui
ed entri in sospetto di noi.
SIMBOLO. Andiamo.
SCENA II.
DON FLAMINIO giovane, PANIMBOLO suo cameriero.
DON FLAMINIO. Panimbolo, quando vedesti Leccardo, che ti disse?
PANIMBOLO. Voi altri innamorati volete sentire una risposta mille
volte.
DON FLAMINIO. Pur, che ti disse?
PANIMBOLO. Quel che suol dir l'altre volte.
DON FLAMINIO. Non puoi redirmelo? non vòi dar un gusto al tuo
padrone?
PANIMBOLO. Cose di vento.
DON FLAMINIO. E udir cose di vento mi piace.
PANIMBOLO. Che Carizia non stava di voglia, che raggionava con la
madre, che ci era il padre, che venne la zia, che sopraggionse la
fantesca, che come ará l'agio parlará, fará, e cose simili. Ben sapete che
è un furfante e che, per esser pasteggiato e pasciuto da voi di buoni
bocconi, pasce voi di bugie e di vane speranze.
DON FLAMINIO. Io ben conosco ch'è un bugiardo: pur sento da lui
qualche rifrigerio e conforto.
PANIMBOLO. Scarso conforto e infelice refrigerio è il vostro.
DON FLAMINIO. Ad un povero e bisognoso come io, ogni piccola
cosa è grande.
PANIMBOLO. Anzi a voi, essendo di spirito cosí eccelso e ardente,
ogni gran cosa vi devrebbe parer poca.
DON FLAMINIO. Il sentir ragionar di lei, di suoi pensieri e di quello
che si tratta in casa, m'apporta non poco contento; e mi ha promesso
alla prima commoditá darle una mia lettera.
PANIMBOLO. O Dio, non v'è stato affermato per tante bocche di
persone di credito che non sieno persone in Salerno piú d'incorruttibil
onestá di queste, e che invano spera uomo comprarse la loro pudicizia?
né voi in tanto tempo che la servite ne avete avuto un buon viso.
DON FLAMINIO. Tutto questo so bene. Ma che vòi che faccia? non
posso voler altro, perché cosí vuole chi può piú del mio potere.
PANIMBOLO. Chetatevi e abbiate pazienza.
DON FLAMINIO. La pacienza è cibo o de santi o d'animi vili.
PANIMBOLO. E voi amate senza goder al presente ciò né sperar al
futuro.
DON FLAMINIO. Almeno, se non ama me, non ama don Ignazio, e
non la possedendo io non la possiede egli. Quella sua onestá quanto piú
m'affligge piú m'innamora: io non posso odiar il suo odio, godo del suo
disamore. Ché s'alle pene ch'io patisco s'aggiungesse il sospetto di don
Ignazio, sarebbono per me troppo aspre e insopportabili.
PANIMBOLO. Io dubbito che don Ignazio avendo tentata la via ch'or
voi tentate ed essendoli riuscita vana, ch'or ne tenti una piú riuscibile.
DON FLAMINIO. Don Ignazio non vi pensa né la vidde.
PANIMBOLO. Son speranze con che ingannate voi stesso.
DON FLAMINIO. Facil cosa è ingannar un altro, ma ingannar se stesso
è molto difficile. Io in quel giorno, perché non avea altro sospetto che
di lui, puosi effetto ad ogni suo gesto e conobbi veramente che non
s'accorse di lei: perché dove girava gli occhi, li girava io; dove mirava,
mirava io; non diceva parola che non la volesse ascoltare; e accioché
non s'accorgesse di lei, il tolsi dalla sala e il condussi allo steccato; e
finito il gioco venne meco a casa, cenammo e ce n'andammo a letto e
raggionammo d'ogni altra cosa che vedemmo quel giorno, eccetto che
di quelle giovani. Ché s'egli si fusse accorto di sí inusitata bellezza, non
l'arebbe tratto tutto il mondo da quello steccato, da quella sala, dalle sue
faldi; e quando t'imposi che ti fussi informato chi fusse, usai la maggior
diligenza del mondo ché non se ne fusse accorto. Io non sono cosí
goffo come pensi. E se Leccardo, che abita in casa sua, n'avesse inteso
altra cosa, non me l'arebbe referito?
PANIMBOLO. Il parasito Leccardo? state fresco, ché delle
ventiquattro ore del giorno ne sta imbriaco o ne dorme piú di trenta.
Vostro fratello tanto può star senza far l'amore quanto il cielo senza
stelle o il mar senza tempesta.
DON FLAMINIO. Egli sta invaghito e morto della figlia del conte de
Tricarico--ed io sono mezano del matrimonio e mi ci affatico molto per
tôrmi da questo suspetto,--e m'ha dato parola che, volendo dargli
quarantamila docati, sposaralla; ma egli non vol darne piú che
trentamila.
PANIMBOLO. Come può starne invaghito e morto s'ella è brutta come
una simia? né credo che la torrebbe per centomila; ed essendo egli di
feroce e magnanimo spirito, poco si curarebbe di diecimila ducati, ché
se li gioca in mez'ora. Ma dubbito che essendo gran tempo esercitato
negli artifici della simulazione, che tutto ciò non dica per ingannarvi; e
vi mostrarei per chiarissime congetture ch'egli aspiri a posseder Carizia.
DON FLAMINIO. Non piaccia a Dio che ciò sia! ché
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