Gli amanti | Page 4

Matilde Serao
terra? Hai dei nervi e non un cuore? Hai del sangue e non un'anima? Sei un mostro?
--Grazie, quanto mi piaci in collera!
--Oh che creatura arida e odiosa tu sei, odiosa, odiosa!
--Proprio, tanto?--chiedeva lui, con la sua voce r?ca e carezzevole.
Alla mia sete di sentimento, a questo bisogno intimo e invincibile di tutti gli esseri umani, a questa nostalgia che ci accompagna tutta la vita, egli non sapeva rispondere, che con la seduzione della passione. Monotono, monocorde, impotente a vibrare per qualunque espansione dell'anima, egli si rigettava in quella sola forma che gli permettevano il suo carattere e il suo temperamento. Il mio amore era diventato per lui una necessità, come l'aria che respirava, come il pane che mangiava: me lo diceva, così, credendo di darmi una prova del suo completo soggiogamento, e invece mi faceva bollire d'ira, con questi paragoni tutti tolti alla vita materiale. Per contrasto, in me, tutta l'adorazione delle belle e buone e nobili cose dello spirito diventava come un'ossessione, e solitariamente, nella mia stanza, quando egli mi aveva lasciata, io scoppiava in lunghe e cocenti lacrime sul mio abbassamento, sovra la mia irreparabile decadenza. E se, all'indomani, io ritornava a lui, era perchè questo Nino Stresa, come era, esercitava un fascino sulla mia ragione: era perchè talvolta, nella sua natura limitata e misera, mi faceva pietà. Sì, io piangevo spesso su me e su lui, a cui era negato, per fatalità, tutto un mondo dell'amore, piangevo sull'aridità del suo cuore e sulla impotenza della sua anima. Glielo dicevo, talvolta, così esplicitamente e così duramente, che egli restava trasognato:
--Sono una creatura inferiore, io, come tu dici?--mi chiedeva fra l'ironia e la tristezza.
--Forse.
--E perchè mi ami allora?
--Per un'aberrazione della mia fantasia,--gli dicevo, in faccia, impetuosamente.
Lo vedevo decomporsi, per la collera, per il dolore. Che m'importava? Mi aveva avvinta a una catena insopportabile. Tentai spezzarla. Impossibile! Egli sopportava qualunque insulto, ora tranquillo, ora umile, ora amorosissimo, e questo, non per amore, no, io lo intendeva bene, ma per la consuetudine della passione, per il legame oscuro ma saldo con cui la passione serra le persone, per la passione della mia persona, delle mie labbra, delle mie braccia! Furiosamente geloso: di una gelosia così folle che, varie volte, mi dette la illusione di un amore completo e verace. Se io parlava a un altr'uomo, egli tendeva l'orecchio alle mie parole e alla mia voce; se io dava la mano, egli misurava la stretta di mano data a un altr'uomo; se io sorrideva, egli fremeva e quasi si avanzava a provocare l'uomo cui io sorrideva. Credetti all'amore, io, per la gelosia! Ma era una gelosia così cieca e così bassa, così ingiusta e così brutale, che mi rivoltò. Non osai mai provocarla, tanto le scene che ne seguivano mi accasciavano, dandomi una novella prova che Nino Stresa viveva e amava e soffriva solo per i nervi e per i sensi: non osavo provocarla, giacchè, dopo, io era costretta a essere più amorosa che mai, con lui; e, probabilmente, egli esagerava l'ardore di questa gelosia, per ottenerne dei compensi di passione. Detestabile amore! Quante volte, vedendolo fra amici e amiche, così bello e così corretto, con quei suoi occhi dove nuotava uno sguardo di languore tenero, di mestizia indefinita, io, r?sa dalla collera di tutte le delusioni, non avrei voluto insultarlo, in pubblico, dicendo che quella soave maschera di bellezza e di malinconia, nascondeva solo la vittoria più plateale dell'istinto, che egli era ancora e sempre e non altro che l'uomo fatto di argilla, senza il divino soffio! Non meritava egli l'insulto, con quella sua apparenza di tristezza, dove chi sa quante altre donne sarebbero cadute ingannate, con quella sua ipocrisia di tenerezza e di languore, dove ogni cuor semplice si sarebbe lasciato prendere?
--Perchè sei ipocrita, anche?--gli domandavo per provocarlo.
--Io? Io?
--Sì, tu. Non fingi di esser triste, tu?
--Non fingo, sono triste.
--Tu sei un gaudente, niente altro.
--Gaudente e triste, insieme,--egli soggiungeva, sordamente.
--Ipocrita, niente altro che ipocrita!--gli gridavo, furiosa che egli proseguisse nell'inganno.
Egli mi guardava, crollando il capo.
Oramai, purchè non mancassi ai convegni, purchè mi lasciassi amare, purchè, sotto la sua seduzione--ah egli la esercitava su me, la esercitava!--avvampassi anche io di passione, egli tollerava qualunque mio affronto.
--Non posso fare a meno di te,--soggiungeva, come vinto da una fatalità!
Come la invocavo, la mia liberazione! Ogni giorno di quell'amore che trascorreva, ribadendo i miei ferri, mi recava un oltraggio di più. Mi disprezzavo, per aver ceduto a un uomo così volgarmente predominato dai bassi istinti della vita: e anche mi disprezzavo, per non averlo saputo elevare sino a me, lasciandomi invece trascinare giù. Mi sentivo indelebilmente macchiata. Avevo offeso l'amore e tutta la sua santità e tutta la sua purezza. Chi ama forte e ama bene, non pecca mai, nell'amore. Nella imperfezione dell'amore sta il peccato. La colpa esiste solo dove è la debolezza, la
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