Gli amanti | Page 3

Matilde Serao
toccare la mia mano, non potendo sedersi troppo lontano, fissandosi bizzarramente a guardare le mie labbra, o la curva del mento, o perdendosi ad ascoltare la mia voce, senza intendere le parole. Allora, vedendolo così preso, così vinto, così soggiogato, io mi formai, come tutti quelli che stanno per commettere un errore, una grande illusione: sperai, non solo sperai, ma fui certa che, se avessi amato Nino Stresa, avrei, senz'altro, estratto dal fondo del suo cuore tutta la sentimentalità che vi era, sicuramente, come vi è, in ogni uomo, il più misero moralmente, in ogni più arido cuore. Io mi incamminavo a uno strano viaggio, come colui che, per una via oscura e malfida, discende sotterra, cercando nelle profondità la miniera che lo deve arricchire: e non ha per sè che la speranza del prezioso tesoro che va a ricercare, non ha per sè che la fiducia in una illusione. L'uomo che mi amava, per carattere e per temperamento mi spiaceva, violando tutte le idealità invincibili del mio cuore, calpestando tutti gli istinti di elevatezza a cui si era educata e legata per sempre la mia anima: ma io mi lusingava, fortemente, di non conoscere l'ultima verità dell'essere di Nino Stresa. L'ultima verità, la suprema di un uomo, si conosce nell'amore corrisposto, nelle ore estreme della passione: tutto il resto è, o può essere, bugia. Questa fu l'illusione che io mi feci e a cui mi afferrai, dandomi all'amore di Nino Stresa. O, forse, volli ingannarmi da me stessa, non resistendo più al mio amore per lui, amore nato dai contrasti, dalla curiosità, dalla debolezza, dall'abbandono di tutte le mie forze morali. Decidete voi. Forse, non speravo veramente nulla e non ero, forse, che semplicemente innamorata, e vergognandomi di tale caduta, trovavo fisime e creavo illusioni. Voi capirete meglio.
Vi dirò tutto. Il primo giorno della nostra felicità, noi fummo infelicissimi. L'esaltamento della sua passione fu così grande, che mi stupì: ed io gli dovetti parere freddissima. Nino Stresa cadde in una tristezza immensa, da cui nulla lo potè trarre. Io gli giurai che lo amavo, che lo adoravo: piansi innanzi a lui. Egli si vinse un poco e fu molto tenero, di una tenerezza mesta che mi andò all'anima. Gli vidi delle lacrime negli occhi.
--Che hai, che hai? Tu soffri, è vero?
--Sì,--egli mi disse, piano.
--Ma perchè? Non ti amo, io?
--Sì, mi ami, diletta.
--Non mi ami, tu?
--Sì, moltissimo.
--Ebbene? Perchè soffri?
--Così: non lo so.
Ma il dissidio che era fra noi, anteriore all'amore, sorgente dalla nostra medesima essenza, non sparve per l'amore. Noi avemmo delle ore violente di passione, in cui sembrò che il raro, l'altissimo miracolo della fusione delle anime fosse accaduto: ma come l'ora declinava, le anime si staccavano, gelide, e gli amanti si guardavano in viso, quasi estranei, imminenti nemici. Come colui che ha una febbre di quaranta gradi che cade, a un tratto, gittando l'infermo in una debolezza mortale, appena l'entusiasmo della passione finiva, mi sentivo misera e disfatta: ero così avvilita, così deturpata da quell'amore fatto solamente di fiamma, che facevo nausea a me stessa. Comprendeva egli ciò? Chi sa! Egli era felice, lo vedevo: e ciò che lo faceva soffrire, era la mia freddezza, la mia diffidenza, la mia ripulsione. L'eterna questione sorgeva, fra noi:
--Il tuo amore non mi piace, Nino.
--Hai torto: esso è sincero.
--Ma non mi piace.
--E perchè?
--Perchè è troppo ardente.
--Ti lagni di essere troppo amata?
--Vorrei esser amata meglio.
--Come, meglio?
--Con l'anima, col cuore, Nino.
--Così ti amo.
--Non è vero.
Egli taceva. Il suo silenzio m'irritava: pareva che confermasse questo criterio dispregevole che mi ero fatto dell'amor suo.
--Non sai amarmi meglio?--gli chiedevo,--non sai?
--Proverò,--diceva lui umilmente.
Ahi, che non gli riusciva! Tutto ciò che è squisita sentimentalità, raffinatezza spirituale, stima, rispetto, poesia, pietà, sì, anche pietà, nell'amore, gli era ignoto. Mancava di quella delicatezza del cuore, per cui, nell'amore, il più piccolo episodio è gravissimo. Non gli importava nè dei miei pensieri, nè dei miei sogni, nè dei miei ideali, nè di nulla che riguardasse il mio spirito: e non arrivava a nascondere tale indifferenza. Gli premeva delle mie ore, perchè le voleva per sè; gli premeva della mia casa, perchè era il nido dell'amore; gli premeva del mio umore, perchè da esso dipendeva un convegno di più o di meno; gli premeva il tono della mia voce, perchè in esso vibrava la negazione o la dedizione: solo tutta la mia vita materiale gli premeva, perchè era legata strettamente alle gioie dell'amore. Invano, a un segno suo d'interesse, a un suo turbamento, io lo interrogava affannosamente, per poter sapere se, infine, qualche cosa della sua anima si muovesse, vivesse, oltre l'ardore della sua fiamma: invano! Tutto il ciclo delle sue azioni si chiudeva in questa fiamma. Quando una delusione novella mi abbatteva, io giungeva ad ingiuriarlo.
--Ma sei incapace, dunque, di voler bene come tutte le altre oscure e semplici creature della
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