Gli amanti | Page 2

Matilde Serao
champagne-cup, odoroso e inebriante: gli detti la coppa. Egli mise audacemente le labbra dove io le avevo messe e bevve, guardandomi. In quel momento Nino Stresa mi piacque immensamente: ma subito dopo, ne ebbi un disgusto immenso.
Non credete, però, che io sia divenuta l'amante di Nino Stresa dopo poco tempo e per qualche bizzarra suggestione. No. Egli durò dei mesi e dei mesi a farmi una corte assidua, irrispettosa, circuendo la mia persona di un amore che mi offendeva, tanto era terra terra, e tanto pareva fatto solamente di desiderio. Niuno aveva mai osato guardarmi come egli mi guardava, niuno mi aveva mai detto quello che egli mi diceva! Invano, io mi armavo di freddezza e di alterigia; egli persisteva, ostinatamente, umiliandosi e allontanandosi, talvolta, ma ritornando sempre, più innamorato, più audace, più desideroso. Vi erano dei minuti in cui io lo odiava, assolutamente, per questa sua insistenza amorosa e per la monotonia di quello che egli provava. Pure, egli aveva, insieme all'audacia, tale una tenerezza fluente, tale una morbidezza di parole, di voce, di gesti, egli aveva, finanche, e di nuovo, e sempre, insieme all'audacia, tale una malinconia, che io, sbalzata nel mondo delle sorprese dello spirito, mi chinavo, ahimè, senza odio e con crescente interesse su quell'anima, a scoprirvi un fantastico mistero, a cercare le sorgenti ascose di quella espressione singolare. Nulla io giungeva a vedere, e come la curiosità mi sospingeva, gli domandavo:
--Perchè siete così triste?
--Perchè non mi amate. Ed io vi adoro....--diceva lui, cercando di prendere la mia mano e di baciarne le dita.
Lo respingevo, sempre. Egli ne provava un sincero dolore, non privo di qualche ingenuità infantile. Era come un bimbo a cui negassero una cosa promessa e dovuta: era come se gli si commettesse contro una crudele ingiustizia.
--Perchè non mi amate, perchè?
--Perchè quello che voi sentite, per me, non è amore.
--Che cosa è, dunque?
--è desiderio.
--è la medesima cosa,--replicava lui, con un'aria di perfetto candore.
Ah, quando io lo udiva negare così la parte sentimentale e nobile dell'amore, quando egli calpestava, così, tutto quello che vi è di puro e di elevato, anche in una passione colpevole, Nino Stresa mi faceva ribrezzo! Egli leggeva nel mio viso tutta la ripulsione del mio spirito e dei miei nervi e taceva. Soffriva, forse, in silenzio. Talvolta, si allontanava, per qualche giorno. Ma io, immancabilmente, lo vedeva riapparire, riavvicinarsi a me, cercar di stringere la mia mano, trattenendola sempre un minuto secondo fra le sue, cercando di toccare qualche oggetto ch'io aveva toccato. Per questo, era un superstizioso dell'amore. Se io lasciava un ventaglio, sovra una mensola, Nino Stresa lo prendeva, lo schiudeva, lo avvicinava al viso, continuava a tenerlo fra le mani, incapace di lasciarlo; se io perdevo un fiore dalla cintura, se mi toglievo un guanto, egli raccoglieva subito il fiore e rubava senz'altro il guanto. Una sera, d'inverno, la mia pelliccia era restata nel salone e io ero andata in camera mia, a cambiar d'abito: lo ritrovai col volto immerso nella pelliccia e con una letizia indicibile negli occhi. Egli conosceva perfettamente tutti i miei vestiti e tutti i miei mantelli, e ne prediligeva alcuni, specialmente, e dava loro degli aggettivi carezzevoli, quasi fossero cosa animata, e quando io mettea uno di questi vestiti, egli trasaliva di gioia, e la parola sua, la sua gran parola, gli usciva dalle labbra:
--Quanto mi piacete, quanto mi piacete!
Volgare e laida parola! La pronunciava un gentiluomo, un giovane intelligente e colto, un bellissimo giovane, con una voce sorda, velata e pure armoniosa: ma essa rivoltava tutto il mio sangue.
--Non sapete dirmi altro?--chiedevo io, fremendo di collera.
--Che debbo dirvi? Mi piacete assai, immensamente.
--Niente altro, niente?
--Ma non vi è altro, signora,--egli soggiungeva, meravigliato e dolente.
Così io mi sono innamorata di Nino Stresa. Vi pare una contraddizione? Non so. Cercherò di spiegarmi meglio, e voi noterete se vi è contraddizione. Egli m'indignava, ma mi attraeva, anche, perchè era giovane, perchè era bello, perchè, infine, a suo modo, mi amava. Ogni volta che il suo desiderio si esprimeva negli sguardi e nelle parole, io ne riceveva un sussulto di dolore e di sdegno: ma, nel medesimo tempo, quasi senza che io me ne accorgessi, una delle difese del mio cuore crollava. Gli imponevo silenzio, ma egli aveva già parlato. Lo fuggivo, ma egli mi ritrovava. Mi chiedeva perdono, ma, nel chiederlo, egli ricordava la colpa che aveva commessa e che, per me, sarebbe stato più utile dimenticare. Lentamente, mi abituavo a una temperatura alta di passione, dove scompariva la forma della manifestazione, trionfando solo la potenza dell'amore, qualunque sia il grido del suo trionfo. Certo, Nino Stresa era innamoratissimo; così assorbito, così concentrato in me che, quando veniva a casa mia, mi aspettava anche delle ore, solo, pur di vivere dove io viveva, mentre io era lontana. Innamoratissimo, impallidendo quando io appariva, tremando nel
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