Fante di picche | Page 4

Salvatore Farina
non rimediano a nulla; venderemo un'ala
della nostra casetta e l'orticello; il mio vicino me ne ha pregato, gli farò
servigio... Mariuccia aspetterà a prendere marito qualche anno di più,
finchè tu abbia guadagnato il tanto da rattopparle la dote, e se sarà
necessario io tornerò in città, cercherò di riavere il mio impiego, sono
sano, mi sento forte...
Ah! Donato non può resistere a quelle parole benigne, a quella carezza
tremante, a quell'accento commosso e melanconico di un vecchio
adorato che considera la colpa del figlio come una disgrazia della sorte.
È in piedi d'un balzo, riasciuga la faccia lagrimosa, si guarda intorno...
Meglio così... non era che un sogno. È solo nella sua cameretta,
appoggiato alla finestrella che guarda alla buia campagna; i neri
fantasmi della vallata tentennano il capo, e le rane proseguono il loro
rauco concerto, arrestandosi ogni tanto per ascoltare un altro coro che
risponde da lontano.
Ci ha tanto pensato, sono molti giorni che ci pensa di continuo; che
vale arrestarsi ancora in quell'immagine? No, egli non avrà mai il
coraggio di dare a quel povero cuore di padre una simile angoscia, di
vedere la serenità di quelle sembianze adorate sparire ad una parola.
Meglio morire!
Meglio morire! E sprofonda l'occhio nel buio, e vi si avventa col
desiderio. Potesse tuffarsi nell'infinito che gli sta dinanzi, distruggersi o
dimenticarsi nella vertigine degli atomi che corrono nello spazio! Si
ferma un istante a questo pensiero gigantesco e vi confronta la piccola
causa del suo immenso affanno, ma non ne ritrae forza; tutto in
quell'arcano gli par grande ad un modo, la parabola della lucciola, stella
delle zolle, la parabola della stella cadente, lucciola dell'infinito. Ogni
grandezza è vana, tranne quella del proprio affanno. Meglio morire!
Donato esce dalla sua camera, porge l'orecchio nel corridoio, non ode
alcun rumore, rientra, afferra una rivoltella, la guarda, poi lascia cadere

il braccio lungo il fianco, ascolta ancora... Nessuna voce lo trattiene; ha
paura di sè stesso, fugge, scende le scale, esce all'aperto coll'arma in
pugno, e si caccia in un viale che mena al boschetto. Tacciono le rane
per lasciarlo passare, poi gli gridano dietro la loro rauca beffa. Ed egli
fugge sempre brandendo l'arme funesta; finalmente si ferma, si butta al
suolo, ritrova un singhiozzo.
Un uccello che ha avuto paura si è levato a volo per mutar letto, poi
tutto tace, anche le voci beffarde della notte; poi sulle creste dei monti
si disegna una striscia di oro pallido--è l'alba.
Una rondine mattiniera passa come una freccia e garrisce per svegliare
il vicinato; un'altra rondine le risponde, poi un'altra, fin che l'aria si
empie di garriti e di voli. Donato guarda a quelle creature agili e festose
che volteggiano sul suo capo; da ogni cespuglio, da ogni zolla si
avventano al cielo cento gaie personcine; sulla cima d'ogni albero è una
conversazione animata, ed ogni ramoscello dondola al picciolo peso di
quella turba saltellante e ciarliera, mentre da lontano i galli del paesello
si rimandano la loro strofetta baldanzosa.
Donato segue sbadatamente coll'occhio quei voli, ascolta quelle ciancie,
e si dimentica. La luce ha messo in rotta tutti i fantasmi paurosi, e
sveglia la vita da per tutto; i monti par che si sollevino or ora dal piano,
le querele e le acacie e gli alberelli e i fili d'erba si parano delle loro
goccioline di rugiada per far festa al sole. A poco a poco la luce si fa
più viva, penetra più addentro nelle boscaglie, nei cespi, nei pruneti,
poi il sole si affaccia con quattro raggi alle giogaie lontane, e
finalmente si leva maestoso, fruga in ogni cantuccio più riposto,
costringe ogni più tetra creatura a rimandargli con un riflesso il suo
sorriso amoroso.
Donato si guarda intorno; è in un breve spazzo scoperto, accanto alla
silenziosa sorgente dove in altri tempi venne tante volte assetato; tutt'in
giro gli alberi gli fanno siepe, presso al sentierolo è un formicaio che un
raggio di sole ha svegliato or ora alle grandi faccende d'ogni giorno;
una talpa, rimasta fuor di casa più tardi dell'usato, attraversa il sentiero
come una palla nera e rientra nel suo piccolo labirinto; dormono i grilli
e si destano le cicale stridule; nelle zolle, fra filo e filo d'ogni erba, è un

brulichio di creature che ripigliano la vita festose; le portulache silvestri
schiudono alla loro esistenza d'un giorno la pompa dei vivaci colori;
lontanamente si ode il muggito dei buoi e il grido di un contadino che
passa nella via maestra dove finisce il boschetto, e lo strider di ruote
d'un carro sulla ghiaia.
Donato si sente ancora tornar come fanciullo quando amava la vita,
quando lo impauriva la morte, quando ogni pensiero era avvenire, festa
ogni sentimento. Ed ora!
Che farà ora il babbo? Che farà la sorellina? Dormono; i loro
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