Fante di picche | Page 3

Salvatore Farina
il rauco coro
delle rane e il zirlo degli insetti nella campagna, si appoggia alla
finestra, e sprofonda lo sguardo lontanamente nel buio.
II.
La notte è tenebrosa; terra e cielo si confondono nel buio infinito da cui
si staccano, più neri, alcuni nugoli che viaggiano solitarii, ed i gelsi e le
quercie in sembianza di giganteschi fantasmi. La brezza bisbiglia
sottovoce e dondola i letti pensili degli uccelli e degli insetti.
Che pensa Donato colla fronte ardente nascosta fra le mani?
Non pensa, vaneggia.--È ritornato fanciullo, ha sei anni, ama giuocare

alla palla, al cerchio, ha appreso a memoria dei versi che recita fra le
ginocchia del babbo, si rizza sulla punta dei piedi per veder la sorellina
in culla, non sa ancora che sia il mondo, non impaurisce per le
incognite che gli prepara l'algebra della vita.
Pur l'avvenire, affretta col desiderio, s'impazienta degli indugi che lo
trattengono per via, ha un ideale innanzi agli occhi--vent'anni! Ah! il
superbo fascino di questa parola!
Eccolo cresciuto, eccolo alla scuola, ai cari studi, ai baldi propositi; ha
inteso dire che il babbo non è ricco, che lavora per vivere, che affatica
giocondamente in età quasi senile, per dare a lui un'educazione e
preparare una dote a Mariuccia. Oh! sì, bisogna pensare a Mariuccia.
Ora Donato sa l'algebra, la geometria... Mariuccia avrà la dote!
E viene un giorno lieto. Donato apprende che non si è così poveri come
si diceva, poichè si possiede una villetta, dove il babbo, ora che ha i
capelli bianchi, se ne andrà a riposare colla piccina. Donato solo
rimarrà in città... e all'avvenire.
Ha promesso ai suoi cari, e più a sè medesimo, di darsi tutto allo studio.
I compagni hanno le tazze e le belle, egli non ha vini nè amori di lusso.
Una cosa lo tenta, Non gli occhi affumicati di donnette smorfiose, non i
rubini delle bottiglie, ben altro: passar come saetta sul velocipede nelle
vie di Milano, spingere a sfrenato galoppo un bel baio nei viali di
circonvallazione; questo sì, lo tenta. Infine a venti anni si ha forse
ragione di dire che la meccanica non basta.
Ma non per nulla Donato fu testimonio della dotta parsimonia del
babbo; levandosi di bocca uno zigaro che appesta e che costa un occhio
del capo, anch'egli cavalcherà il velocipede ed il baio. Certo si potrebbe
mettere in disparte quel danaro per la dote di Mariuccia, ma infine a
vent'anni, ditelo voi, può bastare la meccanica? E poi ora è studente,
ma quando sarà ingegnere!
Ed oh! le belle miniere scavate col desiderio, i bei castelli a cui non
manca il castellano canuto, nè la bionda castellana gentile! Ma un
demone soffia in quelle sante visioni, il castello crolla, ed i castellani

rimangono nella via più poveri di prima! Un istante ha cancellato tanti
sogni affettuosi, un'ora di abbandono ha potuto più di ventidue anni di
affetto... perchè vano è ora distogliere lo sguardo, una rovina si compie
per opera sua; ecco il tavoliere, i mucchi d'oro che danno le vertigini, e
la prima posta bramosa, e l'ultima posta tremante, e una folla di bassi
sentimenti in cuore, e mille colpevoli idee nel capo, e, in un impeto di
collera contro il vincitore, contro sè stesso, contro la sorte, contro Dio...
ancora una posta disperata di denaro non suo!
«Hai perduto! Ancora e sempre hai perduto!»
Donato leva il capo dalle palme e sprofonda l'occhio nel buio, solcato a
quando a quando dalle parabole delle lucciole e delle stelle cadenti.
Non ode più la brezza che va mormorando di lui via via, dai gelsi più
vicini alle acacie delle siepi ed agli olmi della vallata; mille immagini
gli turbinano innanzi agli occhi, prima distinte e man mano più confuse;
poi gli pare che l'aria della notte gli lambisca, la fronte come una fredda
carezza, gli par di dormire, gli par di sognare.
Ora è l'alba, l'alba apportatrice dei propositi onesti, e uno solo ne
rimane a Donato; si leva, corre alla camera del babbo, picchia tremante
all'uscio, entra, si butta fra le braccia del vecchio e ne bagna la canizie
veneranda di lagrime amare.
«Sai, babbo, io sono indegno di te, ho giocato, ho perduto, ho pregato il
cielo che mi facesse morire.»
E nel cuore del padre queste ultime parole cancellano l'impressione
delle prime. Il povero vecchio risponde con un bacio, e non trova
parola di rimprovero. E concesso un istante ai muti singhiozzi, si
stringe la testa del figlio al petto e dice, ponendo nella parola una
dolcezza che arriva al cuore del colpevole più efficace d'ogni
rimprovero:
«Quanto?
--Sei mila lire.

Un istante di silenzio, il vecchio tace, Donato nasconde la testa fra le
mani disperatamente.
«Sei mila lire, dice Norberto; è molto, per noi che non siamo ricchi; ma
non piangere così, le lagrime
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