Divina Commedia | Page 6

Dante Alighieri
riviera d’Acheronte?.
Allor con li occhi vergognosi e bassi,?temendo no ’l mio dir li fosse grave,?infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave?un vecchio, bianco per antico pelo,?gridando: ?Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:?i’ vegno per menarvi a l’altra riva?ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva,?pàrtiti da cotesti che son morti?.?Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: ?Per altra via, per altri porti?verrai a piaggia, non qui, per passare:?più lieve legno convien che ti porti?.
E ’l duca lui: ?Caron, non ti crucciare:?vuolsi così colà dove si puote?ciò che si vuole, e più non dimandare?.
Quinci fuor quete le lanose gote?al nocchier de la livida palude,?che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,?cangiar colore e dibattero i denti,?ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,?l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme?di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,?forte piangendo, a la riva malvagia?ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia?loro accennando, tutte le raccoglie;?batte col remo qualunque s’adagia.
Come d’autunno si levan le foglie?l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo?vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo?gittansi di quel lito ad una ad una,?per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l’onda bruna,?e avanti che sien di là discese,?anche di qua nuova schiera s’auna.
?Figliuol mio?, disse ’l maestro cortese,??quelli che muoion ne l’ira di Dio?tutti convegnon qui d’ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,?ché la divina giustizia li sprona,?sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;?e però, se Caron di te si lagna,?ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona?.
Finito questo, la buia campagna?tremò sì forte, che de lo spavento?la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,?che balenò una luce vermiglia?la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l’uom cui sonno piglia.
Inferno · Canto IV
Ruppemi l’alto sonno ne la testa?un greve truono, sì ch’io mi riscossi?come persona ch’è per forza desta;
e l’occhio riposato intorno mossi,?dritto levato, e fiso riguardai?per conoscer lo loco dov’ io fossi.
Vero è che ’n su la proda mi trovai?de la valle d’abisso dolorosa?che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa?tanto che, per ficcar lo viso a fondo,?io non vi discernea alcuna cosa.
?Or discendiam qua giù nel cieco mondo?,?cominciò il poeta tutto smorto.??Io sarò primo, e tu sarai secondo?.
E io, che del color mi fui accorto,?dissi: ?Come verrò, se tu paventi?che suoli al mio dubbiare esser conforto??.
Ed elli a me: ?L’angoscia de le genti?che son qua giù, nel viso mi dipigne?quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, ché la via lunga ne sospigne?.?Così si mise e così mi fé intrare?nel primo cerchio che l’abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,?non avea pianto mai che di sospiri?che l’aura etterna facevan tremare;
ciò avvenia di duol sanza martìri,?ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,?d’infanti e di femmine e di viri.
Lo buon maestro a me: ?Tu non dimandi?che spiriti son questi che tu vedi??Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,?non basta, perché non ebber battesmo,?ch’è porta de la fede che tu credi;
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,?non adorar debitamente a Dio:?e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,?semo perduti, e sol di tanto offesi?che sanza speme vivemo in disio?.
Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,?però che gente di molto valore?conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
?Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore?,?comincia’ io per voler esser certo?di quella fede che vince ogne errore:
?uscicci mai alcuno, o per suo merto?o per altrui, che poi fosse beato??.?E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
rispuose: ?Io era nuovo in questo stato,?quando ci vidi venire un possente,?con segno di vittoria coronato.
Trasseci l’ombra del primo parente,?d’Abèl suo figlio e quella di Noè,?di Mo?sè legista e ubidente;
Abraàm patr?arca e Davìd re,?Israèl con lo padre e co’ suoi nati?e con Rachele, per cui tanto fé,
e altri molti, e feceli beati.?E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,?spiriti umani non eran salvati?.
Non lasciavam l’andar perch’ ei dicessi,?ma passavam la selva tuttavia,?la selva, dico, di spiriti spessi.
Non era lunga ancor la nostra via?di qua dal sonno, quand’ io vidi un foco?ch’emisperio di tenebre vincia.
Di lungi n’eravamo ancora un poco,?ma non sì ch’io non discernessi in parte?ch’orrevol gente possedea quel loco.
?O tu ch’onori sc?enz?a e arte,?questi chi son c’hanno cotanta onranza,?che dal modo de li altri li diparte??.
E quelli a me: ?L’onrata nominanza?che di lor suona sù ne la tua vita,?graz?a acquista in ciel che sì li avanza?.
Intanto voce fu per me udita:??Onorate l’altissimo poeta;?l’ombra sua torna, ch’era dipartita?.
Poi che la voce fu restata e queta,?vidi quattro grand’ ombre a noi venire:?sembianz’ avevan né trista
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