Divina Commedia | Page 5

Dante Alighieri
la cagion che non ti guardi?de lo scender qua giuso in questo centro?de l’ampio loco ove tornar tu ardi”.
“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,?dirotti brievemente”, mi rispuose,?“perch’ i’ non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose?c’hanno potenza di fare altrui male;?de l’altre no, ché non son paurose.
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,?che la vostra miseria non mi tange,?né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.
Donna è gentil nel ciel che si compiange?di questo ’mpedimento ov’ io ti mando,?sì che duro giudicio là sù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando?e disse:—Or ha bisogno il tuo fedele?di te, e io a te lo raccomando—.
Lucia, nimica di ciascun crudele,?si mosse, e venne al loco dov’ i’ era,?che mi sedea con l’antica Rachele.
Disse:—Beatrice, loda di Dio vera,?ché non soccorri quei che t’amò tanto,?ch’uscì per te de la volgare schiera?
Non odi tu la pieta del suo pianto,?non vedi tu la morte che ’l combatte?su la fiumana ove ’l mar non ha vanto?—.
Al mondo non fur mai persone ratte?a far lor pro o a fuggir lor danno,?com’ io, dopo cotai parole fatte,
venni qua giù del mio beato scanno,?fidandomi del tuo parlare onesto,?ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”.
Poscia che m’ebbe ragionato questo,?li occhi lucenti lagrimando volse,?per che mi fece del venir più presto.
E venni a te così com’ ella volse:?d’inanzi a quella fiera ti levai?che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque: che è? perché, perché restai,?perché tanta viltà nel core allette,?perché ardire e franchezza non hai,
poscia che tai tre donne benedette?curan di te ne la corte del cielo,?e ’l mio parlar tanto ben ti promette??.
Quali fioretti dal notturno gelo?chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,?si drizzan tutti aperti in loro stelo,
tal mi fec’ io di mia virtude stanca,?e tanto buono ardire al cor mi corse,?ch’i’ cominciai come persona franca:
?Oh pietosa colei che mi soccorse!?e te cortese ch’ubidisti tosto?a le vere parole che ti porse!
Tu m’hai con disiderio il cor disposto?sì al venir con le parole tue,?ch’i’ son tornato nel primo proposto.
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:?tu duca, tu segnore e tu maestro?.?Così li dissi; e poi che mosso fue,
intrai per lo cammino alto e silvestro.
Inferno · Canto III
‘Per me si va ne la città dolente,?per me si va ne l’etterno dolore,?per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;?fecemi la divina podestate,?la somma sap?enza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create?se non etterne, e io etterno duro.?Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.
Queste parole di colore oscuro?vid’ ?o scritte al sommo d’una porta;?per ch’io: ?Maestro, il senso lor m’è duro?.
Ed elli a me, come persona accorta:??Qui si convien lasciare ogne sospetto;?ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto?che tu vedrai le genti dolorose?c’hanno perduto il ben de l’intelletto?.
E poi che la sua mano a la mia puose?con lieto volto, ond’ io mi confortai,?mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai?risonavan per l’aere sanza stelle,?per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,?parole di dolore, accenti d’ira,?voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira?sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,?come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta,?dissi: ?Maestro, che è quel ch’i’ odo??e che gent’ è che par nel duol sì vinta??.
Ed elli a me: ?Questo misero modo?tegnon l’anime triste di coloro?che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro?de li angeli che non furon ribelli?né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,?né lo profondo inferno li riceve,?ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli?.
E io: ?Maestro, che è tanto greve?a lor che lamentar li fa sì forte??.?Rispuose: ?Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,?e la lor cieca vita è tanto bassa,?che ’nvid?osi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;?misericordia e giustizia li sdegna:?non ragioniam di lor, ma guarda e passa?.
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna?che girando correva tanto ratta,?che d’ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta?di gente, ch’i’ non averei creduto?che morte tanta n’avesse disfatta.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,?vidi e conobbi l’ombra di colui?che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui?che questa era la setta d’i cattivi,?a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,?erano ignudi e stimolati molto?da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,?che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi?da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,?vidi genti a la riva d’un gran fiume;?per ch’io dissi: ?Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume?le fa di trapassar parer sì pronte,?com’ i’ discerno per lo fioco lume?.
Ed elli a me: ?Le cose ti fier conte?quando noi fermerem li nostri passi?su la trista
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