Divina Commedia: Purgatorio | Page 6

Dante Alighieri
allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
e tu
ferma la spene, dolce figlio».
Ancora era quel popol di lontano,
i’ dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon
gittator trarria con mano,
quando si strinser tutti ai duri massi
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
com’ a
guardar, chi va dubbiando, stassi.
«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
ch’i’ credo
che per voi tutti s’aspetti,
ditene dove la montagna giace,
sì che possibil sia l’andare in suso;
ché perder tempo a

chi più sa più spiace».
Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
timidette
atterrando l’occhio e ’l muso;
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
semplici e
quete, e lo ’mperché non sanno;
sì vid’ io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e
ne l’andare onesta.
Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l’ombra era
da me a la grotta,
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non
sappiendo ’l perché, fenno altrettanto.
«Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per
che ’l lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di
soverchiar questa parete».
Così ’l maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi
dossi de le man faccendo insegna.
E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se’, così andando, volgi ’l viso:
pon mente se
di là mi vedesti unque».
Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l’un de’
cigli un colpo avea diviso.
Quand’ io mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e
mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond’ io ti
priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
e dichi ’l vero a lei,
s’altro si dice.
Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a
quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò
che si rivolge a lei.

Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in
Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la
guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,
dov’ e’
le trasmutò a lume spento.
Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l’etterno amore,
mentre che
la speranza ha fior del verde.
Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
star li
convien da questa ripa in fore,
per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,
in sua presunzïon, se tal decreto
più corto per
buon prieghi non diventa.
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m’hai
visto, e anco esto divieto;
ché qui per quei di là molto s’avanza».
Purgatorio · Canto IV
Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda,
l’anima
bene ad essa si raccoglie,
par ch’a nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede

ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.
E però, quando s’ode cosa o vede
che tegna forte a sé l’anima volta,
vassene ’l tempo
e l’uom non se n’avvede;
ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
e altra è quella c’ha l’anima intera:
questa è
quasi legata e quella è sciolta.
Di ciò ebb’ io esperïenza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
ché ben cinquanta
gradi salito era
lo sole, e io non m’era accorto, quando
venimmo ove quell’ anime ad una
gridaro a
noi: «Qui è vostro dimando».
Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
l’uom de la villa
quando l’uva imbruna,
che non era la calla onde salìne
lo duca mio, e io appresso, soli,
come da noi la

schiera si partìne.
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e ’n Cacume
con esso
i piè; ma qui convien ch’om voli;
dico con l’ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che
speranza mi dava e facea lume.
Noi salavam per entro ’l sasso rotto,
e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man
volea il suol di sotto.
Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,

«Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?».
Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che
n’appaia alcuna scorta saggia».
Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
che da mezzo
quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:
«O dolce padre, volgiti, e rimira
com’ io rimango sol,
se non restai».
«Figliuol
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