quanto li Ebrei?vedevan lui verso la calda parte.
Ma se a te piace, volontier saprei?quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale?più che salir non posson li occhi miei?.
Ed elli a me: ?Questa montagna è tale,?che sempre al cominciar di sotto è grave;?e quant’ om più va sù, e men fa male.
Però, quand’ ella ti parrà soave?tanto, che sù andar ti fia leggero?com’ a seconda giù andar per nave,
allor sarai al fin d’esto sentiero;?quivi di riposar l’affanno aspetta.?Più non rispondo, e questo so per vero?.
E com’ elli ebbe sua parola detta,?una voce di presso sonò: ?Forse?che di sedere in pria avrai distretta!?.
Al suon di lei ciascun di noi si torse,?e vedemmo a mancina un gran petrone,?del qual né io né ei prima s’accorse.
Là ci traemmo; e ivi eran persone?che si stavano a l’ombra dietro al sasso?come l’uom per negghienza a star si pone.
E un di lor, che mi sembiava lasso,?sedeva e abbracciava le ginocchia,?tenendo ’l viso giù tra esse basso.
?O dolce segnor mio?, diss’ io, ?adocchia?colui che mostra sé più negligente?che se pigrizia fosse sua serocchia?.
Allor si volse a noi e puose mente,?movendo ’l viso pur su per la coscia,?e disse: ?Or va tu sù, che se’ valente!?.
Conobbi allor chi era, e quella angoscia?che m’avacciava un poco ancor la lena,?non m’impedì l’andare a lui; e poscia
ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,?dicendo: ?Hai ben veduto come ’l sole?da l’omero sinistro il carro mena??.
Li atti suoi pigri e le corte parole?mosser le labbra mie un poco a riso;?poi cominciai: ?Belacqua, a me non dole
di te omai; ma dimmi: perché assiso?quiritto se’? attendi tu iscorta,?o pur lo modo usato t’ha’ ripriso??.
Ed elli: ?O frate, andar in sù che porta??ché non mi lascerebbe ire a’ martìri?l’angel di Dio che siede in su la porta.
Prima convien che tanto il ciel m’aggiri?di fuor da essa, quanto fece in vita,?per ch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri,
se oraz?one in prima non m’aita?che surga sù di cuor che in grazia viva;?l’altra che val, che ’n ciel non è udita??.
E già il poeta innanzi mi saliva,?e dicea: ?Vienne omai; vedi ch’è tocco?merid?an dal sole e a la riva
cuopre la notte già col piè Morrocco?.
Purgatorio · Canto V
Io era già da quell’ ombre partito,?e seguitava l’orme del mio duca,?quando di retro a me, drizzando ’l dito,
una gridò: ?Ve’ che non par che luca?lo raggio da sinistra a quel di sotto,?e come vivo par che si conduca!?.
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,?e vidile guardar per maraviglia?pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
?Perché l’animo tuo tanto s’impiglia?,?disse ’l maestro, ?che l’andare allenti??che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:?sta come torre ferma, che non crolla?già mai la cima per soffiar di venti;
ché sempre l’omo in cui pensier rampolla?sovra pensier, da sé dilunga il segno,?perché la foga l’un de l’altro insolla?.
Che potea io ridir, se non ?Io vegno???Dissilo, alquanto del color consperso?che fa l’uom di perdon talvolta degno.
E ’ntanto per la costa di traverso?venivan genti innanzi a noi un poco,?cantando ‘Miserere’ a verso a verso.
Quando s’accorser ch’i’ non dava loco?per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,?mutar lor canto in un ?oh!? lungo e roco;
e due di loro, in forma di messaggi,?corsero incontr’ a noi e dimandarne:??Di vostra condizion fatene saggi?.
E ’l mio maestro: ?Voi potete andarne?e ritrarre a color che vi mandaro?che ’l corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,?com’ io avviso, assai è lor risposto:?fàccianli onore, ed esser può lor caro?.
Vapori accesi non vid’ io sì tosto?di prima notte mai fender sereno,?né, sol calando, nuvole d’agosto,
che color non tornasser suso in meno;?e, giunti là, con li altri a noi dier volta,?come schiera che scorre sanza freno.
?Questa gente che preme a noi è molta,?e vegnonti a pregar?, disse ’l poeta:??però pur va, e in andando ascolta?.
?O anima che vai per esser lieta?con quelle membra con le quai nascesti?,?venian gridando, ?un poco il passo queta.
Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,?sì che di lui di là novella porti:?deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?
Noi fummo tutti già per forza morti,?e peccatori infino a l’ultima ora;?quivi lume del ciel ne fece accorti,
sì che, pentendo e perdonando, fora?di vita uscimmo a Dio pacificati,?che del disio di sé veder n’accora?.
E io: ?Perché ne’ vostri visi guati,?non riconosco alcun; ma s’a voi piace?cosa ch’io possa, spiriti ben nati,
voi dite, e io farò per quella pace?che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,?di mondo in mondo cercar mi si face?.
E uno incominciò: ?Ciascun si fida?del beneficio tuo sanza giurarlo,?pur che ’l voler nonpossa non ricida.
Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo,?ti priego, se mai vedi quel paese?che siede tra Romagna e quel di Carlo,
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese?in Fano, sì che ben per me s’adori?pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
Quindi fu’ io; ma li
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