Divina Commedia: Purgatorio | Page 6

Dante Alighieri
’l perché, fenno altrettanto.
?Sanza vostra domanda io vi confesso?che questo è corpo uman che voi vedete;?per che ’l lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma credete?che non sanza virtù che da ciel vegna?cerchi di soverchiar questa parete?.
Così ’l maestro; e quella gente degna??Tornate?, disse, ?intrate innanzi dunque?,?coi dossi de le man faccendo insegna.
E un di loro incominciò: ?Chiunque?tu se’, così andando, volgi ’l viso:?pon mente se di là mi vedesti unque?.
Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:?biondo era e bello e di gentile aspetto,?ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
Quand’ io mi fui umilmente disdetto?d’averlo visto mai, el disse: ?Or vedi?;?e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
Poi sorridendo disse: ?Io son Manfredi,?nepote di Costanza imperadrice;?ond’ io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice?de l’onor di Cicilia e d’Aragona,?e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.
Poscia ch’io ebbi rotta la persona?di due punte mortali, io mi rendei,?piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;?ma la bontà infinita ha sì gran braccia,?che prende ciò che si rivolge a lei.
Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia?di me fu messo per Clemente allora,?avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora?in co del ponte presso a Benevento,?sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento?di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,?dov’ e’ le trasmutò a lume spento.
Per lor maladizion sì non si perde,?che non possa tornar, l’etterno amore,?mentre che la speranza ha fior del verde.
Vero è che quale in contumacia more?di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,?star li convien da questa ripa in fore,
per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,?in sua presunz?on, se tal decreto?più corto per buon prieghi non diventa.
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,?revelando a la mia buona Costanza?come m’hai visto, e anco esto divieto;
ché qui per quei di là molto s’avanza?.
Purgatorio · Canto IV
Quando per dilettanze o ver per doglie,?che alcuna virtù nostra comprenda,?l’anima bene ad essa si raccoglie,
par ch’a nulla potenza più intenda;?e questo è contra quello error che crede?ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.
E però, quando s’ode cosa o vede?che tegna forte a sé l’anima volta,?vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;
ch’altra potenza è quella che l’ascolta,?e altra è quella c’ha l’anima intera:?questa è quasi legata e quella è sciolta.
Di ciò ebb’ io esper?enza vera,?udendo quello spirto e ammirando;?ché ben cinquanta gradi salito era
lo sole, e io non m’era accorto, quando?venimmo ove quell’ anime ad una?gridaro a noi: ?Qui è vostro dimando?.
Maggiore aperta molte volte impruna?con una forcatella di sue spine?l’uom de la villa quando l’uva imbruna,
che non era la calla onde salìne?lo duca mio, e io appresso, soli,?come da noi la schiera si partìne.
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,?montasi su in Bismantova e ’n Cacume?con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;
dico con l’ale snelle e con le piume?del gran disio, di retro a quel condotto?che speranza mi dava e facea lume.
Noi salavam per entro ’l sasso rotto,?e d’ogne lato ne stringea lo stremo,?e piedi e man volea il suol di sotto.
Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo?de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,??Maestro mio?, diss’ io, ?che via faremo??.
Ed elli a me: ?Nessun tuo passo caggia;?pur su al monte dietro a me acquista,?fin che n’appaia alcuna scorta saggia?.
Lo sommo er’ alto che vincea la vista,?e la costa superba più assai?che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:??O dolce padre, volgiti, e rimira?com’ io rimango sol, se non restai?.
?Figliuol mio?, disse, ?infin quivi ti tira?,?additandomi un balzo poco in sùe?che da quel lato il poggio tutto gira.
Sì mi spronaron le parole sue,?ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui,?tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.
A seder ci ponemmo ivi ambedui?vòlti a levante ond’ eravam saliti,?che suole a riguardar giovare altrui.
Li occhi prima drizzai ai bassi liti;?poscia li alzai al sole, e ammirava?che da sinistra n’eravam feriti.
Ben s’avvide il poeta ch’?o stava?stupido tutto al carro de la luce,?ove tra noi e Aquilone intrava.
Ond’ elli a me: ?Se Castore e Poluce?fossero in compagnia di quello specchio?che sù e giù del suo lume conduce,
tu vedresti il Zod?aco rubecchio?ancora a l’Orse più stretto rotare,?se non uscisse fuor del cammin vecchio.
Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare,?dentro raccolto, imagina S?òn?con questo monte in su la terra stare
sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn?e diversi emisperi; onde la strada?che mal non seppe carreggiar Fetòn,
vedrai come a costui convien che vada?da l’un, quando a colui da l’altro fianco,?se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada?.
?Certo, maestro mio,? diss’ io, ?unquanco?non vid’ io chiaro sì com’ io discerno?là dove mio ingegno parea manco,
che ’l mezzo cerchio del moto superno,?che si chiama Equatore in alcun’ arte,?e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
per la ragion che di’, quinci si parte?verso settentr?on,
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