Divina Commedia: Paradiso | Page 4

Dante Alighieri
però l’essemplo basti
a cui esperïenza

grazia serba.
S’i’ era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che ’l ciel governi,
tu ’l sai, che
col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
con l’armonia che
temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago
non fece alcun tanto disteso.
La novità del suono e ’l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
mai non
sentito di cotanto acume.
Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,
a quïetarmi l’animo commosso,
pria ch’io a
dimandar, la bocca aprio
e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che
vedresti se l’avessi scosso.
Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse
come tu ch’ad esso riedi».
S’io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo
più fu’ inretito
e dissi: «Già contento requïevi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com’ io
trascenda questi corpi levi».
Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro,
li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
che
madre fa sovra figlio deliro,
e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che
l’universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la
toccata norma.
Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro
e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con istinto a
lei dato che la porti.
Questi ne porta il foco inver’ la luna;
questi ne’ cor mortali è permotore;
questi la
terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fore
d’intelligenza quest’ arco saetta,
ma quelle c’hanno
intelletto e amore.
La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
nel qual si
volge quel c’ha maggior fretta;
e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca
drizza in segno lieto.
Vero è che, come forma non s’accorda
molte fïate a l’intenzion de l’arte,
perch’ a
risponder la materia è sorda,
così da questo corso si diparte
talor la creatura, c’ha podere
di piegar, così pinta, in
altra parte;
e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l’impeto primo
l’atterra torto da falso
piacere.
Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d’un rivo
se d’alto
monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te se, privo
d’impedimento, giù ti fossi assiso,
com’ a terra
quïete in foco vivo».
Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
Paradiso · Canto II
O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d’ascoltar, seguiti
dietro al mio legno
che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me,
rimarreste smarriti.
L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Appollo,
e
nove Muse mi dimostran l’Orse.
Voialtri pochi che drizzaste il collo
per tempo al pan de li angeli, del quale
vivesi qui
ma non sen vien satollo,
metter potete ben per l’alto sale
vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a l’acqua
che ritorna equale.
Que’ glorïosi che passaro al Colco
non s’ammiraron come voi farete,
quando Iasón
vider fatto bifolco.
La concreata e perpetüa sete
del deïforme regno cen portava
veloci quasi come ’l ciel

vedete.
Beatrice in suso, e io in lei guardava;
e forse in tanto in quanto un quadrel posa
e vola
e da la noce si dischiava,
giunto mi vidi ove mirabil cosa
mi torse il viso a sé; e però quella
cui non potea mia
cura essere ascosa,
volta ver’ me, sì lieta come bella,
«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
«che n’ha
congiunti con la prima stella».
Parev’ a me che nube ne coprisse
lucida, spessa, solida e pulita,
quasi adamante che
lo sol ferisse.
Per entro sé l’etterna margarita
ne ricevette, com’ acqua recepe
raggio di luce
permanendo unita.
S’io era corpo, e qui non si concepe
com’ una dimensione altra patio,
ch’esser
convien se corpo in corpo repe,
accender ne dovria più il disio
di veder quella essenza in che si vede
come nostra
natura e Dio s’unio.
Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
non dimostrato, ma fia per sé noto
a guisa del ver
primo che l’uom crede.
Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
com’ esser posso più, ringrazio lui
lo qual dal
mortal mondo m’ha remoto.
Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra
fan di Cain
favoleggiare altrui?».
Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra
l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali
dove chiave
di senso non diserra,
certo non ti dovrien punger li strali
d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi
vedi che
la ragione ha corte l’ali.
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
credo
che fanno i corpi rari e densi».
Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
nel falso il creder tuo, se bene ascolti

l’argomentar ch’io li farò avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
lumi, li quali e
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 39
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.